Bologna, 9 ottobre 2012 - LUI SI DEFINISCE un falegname del terzo millennio, e forse la similitudine è indovinata. Solo che, al posto del legno, usa la fibra di carbonio. Vero che oggi il carbonio è la base per costruire prodotti che una volta sarebbero stati rigorosamente di legno, dalle canne da pesca alle tavole da wind surf, ma Luca Pirazzini e la sua Reglass sono quanto di più sofisticato, tecnologico e avveniristico si possa immaginare in un’azienda moderna.

Tanto avveniristico da essere quasi contemporaneo nel risolvere problemi drammatici come quelli appena causati tra Bologna e Modena dal terremoto dello scorso maggio. La Reglass, infatti, che spende in ricerca un vertiginoso otto per cento del fatturato, ha realizzato un sistema per rendere più sicuri i capannoni industriali danneggiati, con un notevole risparmio di costi.
 

Pirazzini, avete trovato la soluzione a un problema drammatico quasi in tempo reale.
«Mi ha telefonato un amico, che ha un capannone. Mi fa: dopo il terremoto non sappiamo come fare la giunzione fra colonna e trave. Così ci siamo messi a studiare, insieme al professor Savoia, della facoltà di ingegneria, che è un esperto riconosciuto di sismologia».
Voi cosa ci avete messo?
«La conoscenza del carbonio, cioè di un materiale molto particolare. Le fibre di carbonio non sono tutte uguali. C’è un’ampia gamma con differenze che possono essere paragonate a quelle tra lo stagno e l’acciaio».
Più o meno il giorno e la notte.
«Troviamo differenze analoghe anche nel legno. Dalla balsa al rovere c’è una bella differenza».
Va bene, ci sono tante fibre di carbonio. E per i capannoni terremotati cosa avete inventato?
«Una capsula di acciaio e carbonio a deformazione instabile. In pratica, assorbe la forza delle scosse sismiche comprimendosi».
Con quale vantaggio?
«Sicurezza e costi. Se lega colonne e travi con materiali più rigidi deve spendere molto per proteggere le colonne dallo stress dello scuotimento. Siamo già sommersi di richieste»
Come le è venuta la passione per il carbonio?
«Io sono un imprenditore di terza generazione. Mia mamma, Loredana Paioli, è stata una delle prime imprenditrici bolognesi nel dopoguerra. Quando sono entrato nell’azienda di famiglia, la Maver, dopo un po’ ho pensato di aprirne un’altra e di fare da solo. Volevo cambiare il modo di produrre».
E ha fondato la Reglass.
«Sì, a fine anni settanta. Eravamo già nel settore delle canne da pesca e articoli sportivi. Incontrai un gruppo di giapponesi che mi decantarono i vantaggi della fibra di carbonio. Iniziai a lavorare con quella».
E’ stato un pioniere.
«Ho portato in azienda tutta la catena di trasformazione del carbonio. Il processo incide dal 20 al 30 per cento sulla qualità del prodotto, quindi è fondamentale».
In quali campi lavorate?
«Pesca, che negli Stati Uniti muove un fatturato maggiore del settore farmaceutico. Poi nautica. Facciamo alberi per barche a vela, dai wind surf al Moro di Venezia. L’ultimo team che abbiamo fornito è Artemis».
Nient’altro?
«Costruiamo rulli per la stampa. In molti settori siamo riusciti a sostituire gli oggetti di acciaio con quelli di carbonio, sfruttandone le caratteristiche. Produciamo sostegni per i motori della Lamborghini. Abbiamo progettato prototipi per picosatelliti con il Cnr».
Picosatelliti?
«Sono satelliti lanciati in flotte per misurare le polveri dell’atmosfera. Adesso partecipiamo a una gara per realizzare l’antenna di un satellite Esa da spedire su Giove».

di MARCO GIRELLA