Bologna, 4 dicembre 2012 -  UNO degli uomini ‘neri’ della cronaca italiana. Accusato e condannato all’ergastolo per i delitti della «Uno bianca» che terrorizzarono l’Emilia-Romagna negli anni ’90. Ora Fabio Savi, 52 anni, un ‘fine pena mai’ al carcere di massima sicurezza di Spoleto dovrà restituire allo Stato 8 milioni di euro. Pagando 60 euro al mese, che gli vengono pignorate dallo stipendio di 300 euro che percepisce per il lavoro svolto dietro le sbarre. Dopo 18 anni è stata Equitalia a farsi viva, inviando una cartella esattoriale recapitata direttamente alla casa di reclusione di Maiano dove Savi è detenuto dal 2010. Fece anche uno sciopero della fame per essere riavvicinato alla famiglia che abita a Forlì, e in particolare alla moglie sposata quando era già detenuto.

I FRATELLI Savi furono arrestati nel novembre del 1994, insieme agli altri componenti della banda. Fabio Savi, come il fratello Roberto, nel marzo del 1996 fu condannato a 3 ergastoli. Poi la riduzione ad un ergastolo. Nell’ambito del processo ai fratelli e agli altri complici, venne stabilito che lo Stato versasse ai parenti delle 24 vittime 19 miliardi di lire, circa 10 milioni di euro.
 

Oggi sembra che la cartella esattoriale sia la rivalsa economica dello Stato sui componenti della sanguinosa banda. E quindi su Savi. Nei giorni scorsi il detenuto è stato chiamato dall’agente della polizia penitenziaria e ha scoperto che la cifra richiesta dallo Stato ammonta a oltre 8 milioni di euro, probabilmente comprensivi delle rivalutazioni e delle more. L’amministrazione penitenziaria ha poi provveduto a comunicare al detenuto che, come previsto dalla legge, essendo lui nullatenente è scattato il pignoramento di un quinto dello stipendio, pari a circa 60 euro mensili.

«È RISPETTOSO delle regole e consapevole della realtà che sta vivendo — spiega il direttore del carcere dottor Ernesto Padovani — partecipa alla vita detentiva, per quanto gli è concesso, e al reinserimento sociale. Per quanto riguarda la vicenda economica abbiamo solo provveduto a eseguire quanto previsto dalla legge».
«Per Savi l’autosufficienza all’interno del carcere, e quindi il lavoro, è stata una conquista dopo una detenzione così lunga — dice l’avvocato Fortunata Copelli che lo assiste — avrebbe già potuto ottenere dei benefici, sono convinta che Fabio Savi abbia seguito un percorso di recupero e oggi è profondamente cosciente di quanto accaduto ed è pentito».

Daniele Minni