Bologna, 31 gennaio 2013 -  Il professor Claudio Borghi, davanti a quella porta, c’è andato più volte. E là in fondo al corridoio del padiglione Malpighi, proprio dove è stato trovato Gino Bragaglia, l’86enne fuggito dal policlinico e ritrovato cadavere dal figlio due giorni dopo, non ha scorto una granitica risposta: «Ho guardato oltre i vetri. Ho salito e sceso le scale. Ho studiato le luci, ho immaginato quale fosse il percorso da seguire nel buio della notte se sei solo e disorientato». Pausa. Rompe un silenzio di un mese, dopo la deflagrazione dell’inchiesta interna e di quella giudiziaria. E’ lui il primario della medicina sott’inchiesta.
Cosa prova?
«Mi sono immedesimato in mio padre, quand’era ricoverato qui, e ho pensato a cosa avrebbe fatto lui se si fosse trovato nelle condizioni di Bragaglia. Onestamente, non c’è un andamento dei fatti privilegiato».

Umanamente cosa prova?
«Dopo trent’anni di professione ne ho viste tante, ma sto davvero malissimo. Quest’episodio dimostra che gli ospedali sono una struttura complessa, con variabili imprevedebili. Medici e infermieri hanno fatto ciò che era possibile e adeguato a fronteggiare la situazione».
Ai familiari di Bragaglia cosa direbbe?
«Va la mia profonda comprensione e il mio cordoglio».
Partiamo dal 29 dicembre, il giorno della scomparsa: lei dov’era?
«Non in servizio, avevo pochi giorni di ferie».
Il medico di turno, l’ha avvisata di quanto accaduto?
«Mi mandò un sms. Io l’ho visto il giorno dopo».
E cos’ha fatto allora?
«Mi sono sincerato che fossero state fatte le azioni opportune».
Cosa ha capito?
«Secondo me sono stati attivati i sistemi di ricerca. Capita sempre più spesso, con l’aumento dell’età della popolazione e dei pazienti con deficit cognitivi, che ci siano episodi simili».
Quindi cos’ha fatto il suo medico con gli infermieri?
«Ha cercato il paziente in reparto e nelle aree limitrofe, ma dentro al Policlinico. Questa è la nostra giurisdizione».
Poi?
«È smontato dal turno. Ha parlato coi colleghi. Mi ha detto che erano stati chiamati Coopservice, posto di polizia all’apertura e familiari del paziente».
E la direzione sanitaria?
«Era avvisata di tutto. Il medico ha prima chiamato la direzione sanitaria nonostante fosse già in ferie, poi ha telefonato ai colleghi per chiedere se il paziente era rientrato, infine ha richiamato la direzione sanitaria per dire che Bragaglia non era stato trovato».
Ma la relazione interna, dove si parla di proposta di procedimento disciplinare nei confronti del medico, dice che questi non ha rispettato la procedura. Non avrebbe allertato l’unità di crisi e il medico reperibile 24 ore su 24.
«Siamo soliti chiamare quest’unità di crisi, che è poi un numero di telefono, quando ci sono per esempio decessi con cause dubbie o controversie. Ma in caso di allontanamento... no. Non è codificata per questa evenienza. Ci si attiva all’interno e poi, se non si rintraccia il paziente, si ricorre alla vigilanza ufficiale. Non c’era una procedura codificata, in sintesi».
Ma se venisse sanzionato a livello disciplinare?
«Si può punire una persona che non rispetta le leggi, se le leggi non esistono? E’ uno dei medici più dedicati al lavoro, onesti e ben visti che ci siano. Vederlo bistrattato mi dispiace».
L’impressione è che si sia alzato un muro fra il corpo medico-infermieristico e la direzione dell’ospedale. E’ così?
«C’è un certo grado di isolamento».
L’isolamento è il vostro?
«Ci siamo sentiti investiti di una responsabilità grandissima senza alcuna evidenza effettiva. Io voglio vedere le risultanze del lavoro della magistratura: non c’è solo il momento della denuncia del fatto, ma anche quelli successivi, quelli delle ricerche...».
Quindi?
«Tutto quello che è stato fatto segue le procedure. Abbiamo cercato per giorni il paziente senza mai demordere, lo dimostrano le continue chiamate di infermieri e medici di guardia: basta analizzare i tabulati».
In un passaggio della relazione si evidenza anche una criticità sulla contenzione del paziente. E’ stato fatto tutto per controllare Bragaglia?
«Ho letto e riletto la cartella fino a impararla a memoria. Abbiamo applicato la procedura prevista, cosiddetta per step successivi. Prima il medico ha cercato di capire se il disorientamento fosse risolvibile con un colloquio. Poi è passato a una blanda sedazione e, quando questa non è bastata, abbiamo applicato le polsiere. per un’ora e mezzo il paziente si è anche addormentato».
Poi il signore è fuggito.
«E l’allarme, che non è forte, potrebbe non essere stato sentito. Ma, di certo, il medico presente per gli oltre cento pazienti, quella notte ha fatto il suo dovere».

di Valerio Baroncini