Bologna, 15 giugno 2013 - E’ LA SOLITA storia. Ed è un come per le corse ippiche ad handicap, dove il cavallo più forte viene caricato al via da un peso — l’handicap, appunto — superiore a quello degli altri concorrenti. Anche tutto quello che si progetta nella nostra città si muove ad handicap, ma senza le doti del galoppatore che, nonostante l’intralcio del peso, alla fine brucia tutti sul traguardo. Noi, con l’handicap, che nel nostro caso sono i ritardi cronici, i rinvii, le false partenze, i tempi lunghi che frustrano tutte le entusiastiche previsioni, finiamo per restare sempre indietro, per arrancare, per chiamare inaugurazioni (il colabrodo della stazione dell’Alta Velocità e la stazione Mazzini) cerimonie che si sarebbero dovute svolgere anni prima.

E’ così per i temporeggiamenti sulla destinazione dell’area ex Staveco (Università o Tribunale?). E’ così per il recupero delle aree militari (colpa del demanio, certo certo) e anche per l’insediamento universitario del Lazzaretto. Ed è così per il Tecnopolo, la Cittadella della Ricerca destinata a occupare la vecchia Manifattura Tabacchi disegnata da Pier Luigi Nervi. Si direbbe che c’è già tutto. L’acquisto del mastodontico stabile - 130mila metri quadrati tutto incluso -, per il quale la Regione sborsò nel 2009 oltre 22 milioni alla multinazionale del tabacco Bat, che aveva rilevato nel 2003 l’Ente Tabacchi Italiani. C’è il prestigioso progetto dello studio tedesco Gmp, gli architetti della Hauptbanhof di Berlino, la stazione più grande del mondo. E c’è un piano generale di spesa di 198 milioni, 27 dall’Europa, 58 dalla Regione e il resto da repeperire, è il compito di Finanziaria Bologna Metropolitana (che comprende gli enti locali e cura la realizzazione dell’impresa) anche tra i privati interessati.

Adesso - ma vedete l’handicap del tempo trascorso - ci sono anche i quasi i 6 milioni subito spendibili del bilancio di viale Aldo Moro per un primo, minimo via al cantiere. Per stile non pronosticherei nessuna data. Anche perché la fulmineità dell’epoca e il morso di una crisi che non c’era quando l’idea del Tecnopolo si materializzò, esigerebbe una rimessa a fuoco complessiva. Sembrano secoli da quando scrivemmo tecnopolo per la prima volta. O no? Dei dieci Tecnopoli previsti in regione - ma non sono troppi? - quello di Forlì ha già fallito, e in ogni caso tra questo nutrito insieme di realtà servirà un coordinamento strategico, non un aggiustamento tattico di rapporti, da contrattare di volta in volta. Lo stesso varrebbe per le relazioni con i centri di ricerca come il Cineca e il Cnr che a via Stalingrado non ci saranno. Se è mastodontica la struttura architettonica, non lo è poi da meno la previsione di far lavoraci dentro almeno 2mila persone. Un problema di gestione da far tremare i polsi, perché il Tecnopolo funzionerà solo se non avrà buchi vuoti, se sfrutterà a pieno regime la sua capienza di uomini e cose. Abbiamo altri anni davanti, se mai vedremo la linea d’arrivo e se mai, intanto, tutti i tecnopoli del mondo non invecchieranno e verranno superati. Noi avanziamo con l’handicap. Quello che, per i purosangue vincenti, pesa poco più di una mosca. Ma solo per loro.

Cesare Sughi