Bologna, 30 giugno 2013 - NELLA TERRIBILE storia del ‘delitto del congelatore’, oltre al sangue e l’orrore, spuntano pure le microspie (guarda la piantina). Silvia Caramazza, la commercialista di 39 anni uccisa e nascosta nel freezer di casa, un mese prima della scomparsa aveva trovato delle cimici nell’appartamento di viale Aldini 28 che divideva con il presunto assassino, il fidanzato Giulio Caria, artigiano edile di 34 anni catturato ieri in Sardegna.

La scoperta l’aveva inquietata non poco, tanto che il 24 maggio la donna era andata dai carabinieri a sporgere denuncia. «Il 16 maggio alle 14 ero nella mia stanza — recita il verbale — quando, guardando il contatore dell’acqua posto sotto il termosifone, incuriosita, svitavo il tappo e all’interno constatavo la presenza di uno strumento del quale disconosco ogni provenienza».
 

SILVIA aveva subito avvisato Caria, il quale aveva fatto esaminare il congegno a un investigatore privato da cui era arrivato un responso netto: «È una microspia, con la batteria della durata di due anni e una sim card con i codici parzialmente abrasi». La coppia aveva poi fatto bonificare la casa, trovando una seconda cimice, nascosta nella gommapiuma del bracciolo sinistro del divano in salotto. Anche il secondo apparecchio era stato portato ai carabinieri da Silvia, che aveva espresso i suoi sospetti su chi potesse volerla sorvegliare. In seguito la donna aveva fatto un’altra inquietante scoperta. Il 5 giugno aveva trovato sotto la porta un biglietto con un messaggio, scritto in stampatello in un italiano sgrammaticato, in cui una persona diceva di aver agito per conto dei parenti di Silvia.

Il compagno, intanto, il 3 giugno aveva già contattato il proprio avvocato, Gennaro Lupo, che l’aveva già assistito in passato per vari problemi con la giustizia, e gli aveva raccontato la vicenda. Poi era tornato dal legale l’11 giugno, con le carte d’identità sua e di Silvia, e gli aveva detto che i parenti della commercialista lo vedevano di cattivo occhio e controllavano la sua compagna. Per Caria le microspie erano state piazzate dalla famiglia di Silvia. Perciò voleva che l’avvocato preparasse una diffida ufficiale da presentare al giudice con cui ai parenti fosse vietato frequentare Silvia e interferire nella vita della coppia.

Fin qui i fatti. Ora, a posteriori, si può leggere la vicenda in modo un po’ diverso da come la raccontava Caria, che probabilmente era riuscito a convincere (se non soggiogare) la povera Silvia. Le microspie forse erano state piazzate da chi voleva allontanare Silvia dai suoi parenti, facendole credere che la spiavano perché non si fidavano di lei. Forse qualcuno aveva interesse a isolare la donna dal resto del mondo, con l’obiettivo di impossessarsi dei suoi ingenti beni. Era proprio questo il timore della famiglia della 39enne e Caria sapeva che tutti erano contro di lui. Perciò, forse, aveva messo in atto un piano che, se così fosse, sarebbe davvero diabolico. L’aveva indotta a vedere dei nemici nei suoi familiari, per poterla controllare meglio ponendosi come unico referente della donna. Ultimo, inquietante, particolare. Caria è andato dal legale l’11 giugno. L’ultima volta che Silvia è stata vista viva risale al 7, quando un’amica l’ha ospitata a Pavia. Proprio quel giorno la donna chiamò lo studio dell’avvocato Lupo, ma il legale era fuori. Poi nessuno l’ha più vista né sentita. Solo Caria.

di Gilberto Dondi

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