Bologna, 16 settembre 2013 - «IL PRIMO pregava con le mani giunte, a supplicare di non essere colpito, mentre l’inseguitore lo placcava fermandogli le braccia dietro la schiena e tenendogli la testa sollevata, dopo avere afferrato i suoi capelli con una mano. Questo si è verificato mentre un altro ragazzo gli ha sferrato il primo colpo all’addome e un secondo colpo quasi simultaneo al volto». Venerdì pomeriggio, ai Giardini Margherita, non c’erano soltanto i 250 ragazzini di ‘Bolobene’ e ‘Bolofeccia’, abbreviati in ‘Bolobè’ e ‘Bolofè’, accorsi per picchiarsi, ma anche normali frequentatori del parco, mamme e papà che si sono trovati di fronte a una scena surreale.

 

FRA LE CENTINAIA di pagine di verbali riempite dai carabinieri della stazione Bologna, non ci sono soltanto le testimonianze di decine ragazzini già identificati e convocati, ma anche quelle di testimoni ‘neutrali’, che hanno collaborato coi militari per ricostruire l’accaduto. Fra questi, una donna che ha assistito al parapiglia ha descritto con dovizia di dettagli i fatti a cui ha assistito. «Al secondo colpo — prosegue la testimone dopo avere riferito del pestaggio — ho capito che non era un gioco e sono intervenuta chiedendo cosa stessero facendo, e invitandoli a smetterla».

«Quello delle percosse, il secondo aggressore — aggiunge — è scappato in mezzo alla nutrita folla di spettatori. La folla si è aperta mentre il secondo aggressore passava in mezzo. Io l’inseguivo e gli intimavo di fermarsi mentre stavo chiamando i carabinieri, sfidandolo a rimanere e dandogli del codardo perché aveva picchiato un ragazzo che non poteva difendersi perché immobilizzato. A quel punto si è girato e mi ha detto testualmente ‘che c... vuoi?’». In questa e altre testimonianze emerge la figura di un ‘picchiatore’ con la cresta bionda. «Il secondo episodio di aggressione — dice la donna agli investigatori — si è verificato nella parte alta dei Giardini. Ho capito che le azioni aggressive erano rivolte ad alcuni ragazzi, erano mirate e infatti mentre io rincorrevo il primo aggressore, un altro gruppo si staccava all’inseguimento di un altro ragazzo, raggiungendolo nella parte alta dei Giardini».

«QUANDO siete arrivati — sottolinea la coraggiosa testimone di fronte ai carabinieri — da questo gruppo sono scappati verso il pratone alcuni di questi ragazzi. Chi ha veramente condotto le azioni sono poche persone, gli altri erano spettatori. Peraltro ho capito che gli altri erano molto preoccupati di essere vittime di persecuzione e quindi omertosi». Finita la bolgia, la mamma avvicina un gruppo di adolescenti che discutono fra loro, per capire la ragione di quanto accaduto: «Alcune delle ragazzine dicevano di essere parte della ‘Bologna feccia’ perché frequentavano l’istituto professionale, secondo questo blog erano stati identificati come ‘Bologna feccia’ per questa ragione».

Al momento, i carabinieri hanno già sentito molti adolescenti della ‘Bolobene’ e, attraverso testimonianze e riscontri, verranno distinti i ruoli tra partecipanti alla rissa, istigatori via web e semplici spettatori. Più complicata si prospetta l’identificazione dei ‘Bolofeccia’, meno attivi sui social network e meno conosciuti con i rispettivi nomi e cognomi in città. Dalle indagini sta emergendo inoltre che l’escalation sarebbe iniziata con un imperdonabile errore: un ‘Bolobene’ avrebbe postato un commento offensivo su Ask, dimenticando di rendersi anonimo ed esponendosi così alle ritorsioni dei rivali, in un crescendo di insulti reciproci sfociati in violenza.

Enrico Barbetti