Bologna, 25 settembre 2013 -  Da tre mesi è rinchiuso in carcere con la pesante accusa di avere ucciso e occultato in un freezer il cadavere della compagna. Giulio Caria, l’artigiano sardo di 34 anni unico indagato per l’omicidio e l’occultamento del corpo di Silvia Caramazza, è stato trasferito dal carcere di Sassari, dove era stato rinchiuso al momento dell’arresto, a quello della Dozza. Durante una visita programmata all’interno della casa circondariale da parte di un politico, per valutarne le condizioni, Caria ha detto di aver tentato il suicidio. Più di una volta.

Il politico ha scambiato alcune parole con i detenuti e, nella prima cella del reparto infermeria, c’era l’artigiano edile di 34 anni, da poco trasferito dalla Sardegna. Caria si trova da solo in una cella protetta, spoglia, con le lenzuola di carta, diversa dalle altre. Maglietta beige, infradito e pantaloni scuri, Caria ha un anello di oro bianco all’anulare. «In carcere a Sassari ho perso dieci chili, ho tentato il suicidio più volte ma non è andata bene», ha detto. Lo avrebbe salvato il suo compagno di cella.

«A Sassari, dalle sei del mattino fino alle dieci, ero affidato al servizio porta vitto, qui invece ho molto più tempo per pensare a me. Mi sveglio verso le sei o le sette, ho tanti incubi, mi giro nel letto e guardo il soffitto». Ha detto che vorrebbe essere «affidato a un servizio di interazione con gli altri e avere un compagno di cella». Quando si trovava nel nuovo carcere di Sassari ha ricevuto più volte la visita dei familiari: la mamma e i fratelli. Dal giorno dell’interrogatorio davanti al gip per la convalida dell’arresto ha continuato a negare: respinge le accuse, ma gli elementi raccolti a suo carico dagli inquirenti sono schiaccianti. Una lunga serie di tasselli che passo dopo passo stanno ricostruendo le ultime ore di vita di Silvia e quello che è successo fino al ritrovamento del cadavere della commercialista nell’appartamento in cui la donna viveva con il compagno, in viale Aldini 28.

Il cadavere di Silvia è stato scoperto lo scorso 27 giugno con l’irruzione degli uomini della Squadra mobile nell’abitazione della donna. L’artigiano continua a negare ogni responsabilità nell’omicidio, a dispetto delle pesantissime prove a suo carico raccolte dagli investigatori della sezione omicidi coordinati dal pm Maria Gabriella Tavano. «Non ho sensi di colpa perché non ho fatto nulla», ha detto Caria all’uomo politico. Ha parlato molto di sé. E delle sue giornate in carcere. «Mi dovevo sposare a fine luglio e l’unico peso che ho sulla coscienza sono le accuse che mi muovono. Non mi accusano di aver rubato dieci euro ma di aver ucciso...», ha aggiunto.

A Bologna, Caria ha già avuto un colloquio con lo psicologo del carcere. «Forse è stato spostato per evitare che facesse gesti inconsulti — spiega il legale Gennaro Lupo —. Quando ritorna sulla vicenda ha spesso degli scoppi di pianto, vede la sua situazione senza via d’uscita». Con il suo avvocato Caria avrebbe accennato alla volontà di essere sentito dal pm Tavano titolare dell’indagine.

Emanuela Astolfi