Bologna, 19 dicembre 2013 - Lo guardo e penso: dai, ma è una piastrella, tipo quelle di Vietri sul Mare! O ancora: è il nuovo simbolo del Sant’Orsola, con quella croce tipo Misericordia! Illuminazione: è roba lisergica! Il nuovo ‘city branding’ (foto), che io chiamerei in maniera meno chic ‘marchio della città’, oppure ‘logo’, per me davvero non funziona. Non è misoneismo, anzi. Ragionamento da semplice cittadino: un simbolo deve essere riconoscibile, e questo riconoscibile non è. Poi deve essere internazionale, e questo non lo è (c’è il verbo essere, vallo a spiegare al turista d’Oltremanica che ‘è’ significa ‘is’). Anzi, è no logo. Infine deve unire, non confondere. Di sicuro, e questo va riconosciuto a Merola e Lepore, il giochino del ‘Compila il tuo E’ Bologna’ è divertente e azzeccato.

Ma, appunto, rimane un giochino. Che in queste ore ha catalizzato l’attenzione dei social network (ricevendo valanghe di critiche) e dunque ha colpito nel segno, almeno, facendo discutere; ma, adesso, deve diventare un contenitore semanticamente pieno. All’estetica dovrebbe corrispondere un’etica che, dopo un intero giorno di prove e test, fatica ad affiorare (almeno davanti ai miei occhi, che non saranno forse abbastanza hipster, come si dice adesso). L’operazione, dal punto di vista culturale e delle tendenze, è interessante. Non sarebbe però lesa maestà l’accettazione del pop come popolare, come riconoscibile, come immediato. Si può anche essere un genio dell’arte senza avere la puzza sotto il naso. Il design, anzi, è proprio questo: essere facili e nuovi (Starck? Aulenti? Koolhaas? Dicono qualcosa?). All’eskimo preferiamo il cappottone, ma ci faremo una ragione pure del ‘city branding’. Anche perché già il simbolo della Regione era bruttino assai...

di Valerio Baroncini