Bologna, 19 dicembre 2013 - «DÀ UN SENSO di solidità antica, come Bologna». Il critico d’arte Philippe Daverio promuove il logo della città: «Corrisponde a una certa idea che si ha di Bologna: è rotondo, un incrocio fra cerchi e quadrati, dà la sensazione di un quadrivio. Può sembrare anche un tortellino, ripiegato su se stesso».

Però non è di facile lettura.
«Lo vedi la prima volta e non capisci. Poi impari a decifrarlo».
Un po’ complicato. Non è immediato.
«Un logo non deve essere immediato. Lo stemma con la nave sui flutti e il motto fluctuat nec mergitur non è che rimanda subito a Parigi...».
Non sarebbe stato meglio richiamare alcuni simboli della città?
«Per carità, per fortuna si è usciti dallo stereotipo delle Due Torri».
Basterà a fare conoscere Bologna e le sue eccellenze nel mondo?
«Questo sarà il problema. Un conto è avere l’idea, un altro farla funzionare».
Come si fa?
«Prima di tutto bisogna caricare il logo di significati, quindi diffonderlo. A Milano dicono se la và... la g’ha i gamb! Se va, ha le gambe».
Lei cosa prevede?

«È una scommessa. Quante città, in Europa, hanno un logo? E quanto sono riuscite a renderlo familiare?».
E l’idea che chiunque lo possa modificare?
«Simpatico: che ognuno ne faccia ciò che vuole».

Luca Orsi

 

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