Bologna, 1 febbraio 2014 - Con le lacrime agli occhi, con la disperazione di una madre che ha fatto mille sacrifici per il figlio, ma con l’onestà di una donna arrivata in Italia tanti anni fa per fare la badante e guadagnarsi onestamente da vivere, la mamma di Cezarin Robert Tivadar ha detto la verità.

Sentita ieri in Questura, dopo l’arresto del figlio avvenuto a Copenhagen, la donna ha reso più solido il quadro probatorio a carico del giovane rumeno accusato di essere il palpeggiatore seriale. In altre parole, senza volerlo, ha incastrato il suo ‘Cesarin’ (foto), come il giovane viene chiamato da tutti in Italia. L’ha inguaiato riconoscendolo nei fotogrammi e nei filmati che i pm Laura Sola e Valter Giovannini, assieme agli investigatori della Squadra mobile, le hanno mostrato. Nelle immagini delle telecamere di sorveglianza, catturate l’11 gennaio fra le 5 e le 6 del mattino in alcune vie del centro, si vede un giovane seguire due donne, le vittime delle aggressioni sessuali di via Marsala e via San Felice. Il ragazzo ha un trench a tre quarti scuro, stivaletti eleganti e una sciarpona bianca al collo.

«Somiglia molto a mio figlio — ha detto la donna guardando le immagini —, ma non sono certa sia lui, perché il volto è sfuocato. Quanto ai vestiti, in effetti Cezarin ha un cappotto come quello e delle scarpe eleganti molto simili». Le sono poi state mostrate le immagini in movimento: «La camminata è la sua», ha aggiunto la mamma. Cappotto e stivali sono stati trovati nella casa in cui la donna vive sola in zona Barca e dove il figlio, che attualmente frequentava un master universitario sul turismo a Copenhagen, ha la residenza. Nelle immagini si vede anche una vistosa sciarpa bianca. E qui la madre è andata oltre, scoppiando a piangere: «Quella sciarpa l’ho fatta io, è lunga e ha la frangia. L’ho fatta con le mie mani per mio figlio». La sciarpa non è invece stata trovata, la madre ha spiegato che Cezarin probabilmente l’aveva portata in Danimarca dove fa molto freddo, assieme a capi più pesanti rispetto al trench e agli stivaletti.

Alla mamma sono state poi mostrate alcune foto estratte dalla pagina Facebook di Tivadar. Due scattate al mare, la terza ritraente il ragazzo travestito da Arancia meccanica. La donna ha riconosciuto le prime due, relative a una vacanza in Grecia che avevano fatto assieme, mentre per la terza ha notato una somiglianza nel volto, disconoscendo però, in modo stizzito, il trucco da Arancia meccanica. «Non lo riconosco truccato così — ha detto —, la giacca bianca sembra la sua, ma non ci credo possa aver fatto una cosa simile».
Nel film, come noto, un gruppo di ragazzi si dà alla violenza più sfrenata. Tivadar nelle foto è a una festa circondato da amici e amiche. La mamma, distrutta, ha poi difeso il figlio: «Vi sbagliate, è un bravo ragazzo, non è il maniaco, non ha fatto ciò che dite voi». «La comprendiamo — dice il procuratore aggiunto Giovannini — perché è una persona onesta, che attraverso il proprio lavoro ha cercato di mettere il figlio nelle condizioni di vivere bene».

Gilberto Dondi