Bologna, 8 febbraio 2014 - TUTTO è pronto: lei, la ragazza con l’orecchino di perla, è lì che ci guarda. O, meglio, che guarderà i centomila visitatori che arriveranno a Bologna. Tutte vittime dell’esterofilia e del feticismo, a sentir Sgarbi, oppure — per dirla con Daverio — dalla sindrome di Barbie.

Ma se proprio vogliamo arrivare alla ‘perla’ di questa sindrome disfattista, mi tocca citare ancora il nostro assessore Ronchi che ha definito la mostra su Vermeer, prima e unica tappa italiana dei dipinti del museo dell’Aia un evento spot, datato, che non lascerà niente alla città. Perché costa e a Bologna i soldi servono per ben altre realtà: teatro Comunale e Arena, tanto per cominciare. Certo, Ronchi ha altra idea della cultura, e non ne fa mistero. Tracy Chevalier, autrice del romanzo ‘La Ragazza con l’orecchino di perla’, che ha venduto 4 milioni di copie, ha testualmente detto: «Quest’opera è entrata nell’inconscio collettivo come la Gioconda». Ma che volete che contino le parole di una scrittrice di best sellers, rispetto alle considerazioni dell’assessore Ronchi?

Che ha spiegato per bene che questa mostra è roba passata di moda e — decretando la fine del sogno dell’auditorium di Abbado — ha sentenziato che la «cultura è una materia specialistica, come il diritto: non è che ognuno può dire la sua» (sic). E, allora, se la cultura si studia come il Diritto (un’idea per il Magnifico rettore Dionigi: un bel corso di Laurea in cultura generale!), mi sono tolta lo sfizio di curiosare nel curriculum del nostro assessore: laurea in Filosofia, militanza nel movimento studentesco, carriera politica nei Verdi di Ferrara e poi assessore comunale, quindi alla guida dell’Arci Ferrara con la rassegna ‘Ferrara sotto le stelle’, approdo nella giunta regionale per planare poi nella giunta Merola, a capo appunto della cultura cittadina. Lui dice che più che puntare su Vermeer, Bologna deve esprimere ancora tutta la sua potenzialità rock. Con la cultura non si mangia, ma si balla alla grande.

Gaia Giorgetti