Bologna, 18 febbraio 2014 - Trattava le bombe come destrieri da domare. "Ecco, si fa così", diceva piazzato a cavallo su micidiali ordigni piovuti dal cielo in tempo di guerra. Poi svitava la spoletta con l’attenzione di un chirurgo davanti a un intervento complicato e offriva quel piccolo, ambito, delicatissimo trofeo, allo scatto del fotografo. Le bombe non hanno mai fatto paura a Gianni Farro, maestro artificiere premiato da Sandro Pertini, e qualcuno sosteneva che poi, pur con tutto il rispetto, le considerava perfino amiche. E del resto, anche quelle più subdole non lo hanno mai tradito. E così, c’è voluto un agguato stradale pur involontario, per portarsi via l’esistenza carica di emozioni di quest’uomo affacciato sull’alba del compleanno numero 93.

Un’auto pirata l’ha travolto nel buio del 14 gennaio in via Montefiorino, e a nulla è servito il ricovero alla terapia intensiva del Sant’Orsola. Gianni Farro se n’è andato per sempre l’altro giorno, ma l’immagine dell’automobilista rimane tuttora fissata nel ricordo di un rombo e della sagoma di un’auto in fuga nel buio. Farro era nato nel ’21 ad Agropoli di Salerno, stava a Bologna dal ’48 e dalla sua casa di via Valdossola 32 usciva ogni volta per spegnere la rabbia di mine e di bombe grandi e piccole, antiuomo, anticarro e d’aereo, tedesche, inglesi, americane e di altri Paesi, scese dal cielo o strategicamente seminate a milioni, qua e là, in attesa dell’innesco di un passo senza ritorno.

"Per 42 anni sono andato a braccetto con la morte", spiegava con un sorriso a chi gli chiedeva del suo lavoro. A Bologna, in provincia, in regione e sempre più in là, fino a Montecassino, al Veneto, all’Abruzzo e alla Sardegna non ci sono parchi, giardini, campi, borghi, boschi, poderi, vie, stradelli, fiumi e macerie dove Gianni Farro, ex coadiuvatore superiore dell’esercito della ‘574 compagnia’ del Genio Militare, non abbia spento la carica di un ordigno. "Che bello vedere i bambini giocare nei punti dove ho rimosso i pericoli!", si lasciava andare con un pizzico di orgoglio. "Ma non è andata sempre così. Ricordo l’amico Tosin. Era veneto e a tiro di nozze. Sabato mi sposo e non puoi mancare, disse. Arrivò il sabato, ma lui non c’era, era rimasto sul terreno".

Le bombe e, prima ancora, la moglie Annina e la figlia, erano tutta la sua vita. "Le mie donne vorrebbero che stessi a casa, ma come faccio?", chiedeva e si chiedeva. E via con l’ennesimo aneddoto. "Il mio record riporta a una bomba d’aereo tedesca. Le saltai in groppa con l’agilità di un cavaliere a pelo, e le tolsi il morso della spoletta. Cosa aveva nella pancia quel mostro? Giusto dieci quintali di polvere di morte".

Gianni Leoni