Bologna, 3 marzo 2014 - Portare la chirurgia plastica ricostruttiva là dove ce n’è più bisogno. Dall’estremo Oriente all’Africa più nera il professore Paolo Morselli, bolognese doc e docente all’Alma Mater, ha insegnato la sua arte medica ai colleghi stranieri. E per questa sua opera benefica è stato premiato dalla massima autorità religiosa buddhista, il Dalai Lama. Il premio (Unsung Hero of Compassion) è dedicato agli eroi compassionevoli meno ‘celebrati’, traducendo alla lettera. Insomma, quelli che come Morselli girano il mondo diffondendo conoscenza e benessere senza chiedere nulla in cambio.
Morselli, in realtà non è la prima volta che incontra il Dalai Lama, vero?
«Sono stato ricevuto dal Dalai Lama 11 anni fa a Dharamsala, l’attuale sede del governo esiliato. Mi ricevette perché facemmo moltissimi interventi in quell’area, abbiamo operato in Tibet diverse volte»
Nonostante l’ostilità dei cinesi?
«Il professor Lu dell’Università di Nanjing ci ha aiutati tantissimo. Abbiamo lavorato sia nella periferia rurale cinese sia a Lhasa in Tibet».
La vostra Ong, la Interethnos Interplast Italy onlus, in cosa è diversa da Emergency?
«Innanzitutto noi non siamo retribuiti. Non dico che sia sbagliato, perché se si va a vivere e lavorare per due anni in Congo è giusto essere pagati. Nessuno di noi, invece, percepisce un euro. Abbiamo vitto e alloggio pagato, ma usiamo le nostre ferie per fare queste missioni. Una o due missioni all’anno da due settimane l’una».
Dove operate?
«Solo nelle strutture esistenti, perché operando in una capanna costruita per la missione non lasci niente ai medici locali. Noi andiamo a insegnare al chirurgo cinese come si fanno certe operazioni».
Le parole ‘chirurgia plastica’ evocano spesso solo la parte estetica della vostra professione. Ci spieghi meglio.
«Questa è la chirurgia plastica ricostruttiva, quella che serve per ricostruire parti del corpo gravemente rovinate da incidenti o da malformazioni. La nostra scuola di specializzazione prevede entrambi gli aspetti, sono il diavolo e l’acqua santa che convivono insieme. Ci occupiamo di ustionati, bambini malformati, persone con sei dita...».
E cosa insegnate?
«A correggere questi problemi. Negli ospedali dove andiamo la nostra specialità non esiste, noi vogliamo crearla perché così diventino Paesi autonomi».
Bologna può insegnare così tanto?
«La nostra è una grande tradizione. Noi avevamo un medico a Bologna nel ’500, Gaspare Tagliacozzi, che correggeva i nasi amputati per duello con un pezzo di cute che prendeva dal braccio. Ce lo riconoscono in tutto il mondo. E’ stato il primo professore che ha scritto un libro di chirurgia estetica, io raccolgo un testimone antico».
Come è nata l’idea nel 1988 di fondare questa Ong?
«Le dovrei dire perché ho fatto medicina e perché questa specialità: medicina perché mi permetteva di curare le persone, questa specialità perché si prestava anche a questa attività in particolare. Questa è un tipo di chirurgia semplice che può dare incredibili risultati senza costi. Io voglio fare qualche cosa che il mio collega là impari a fare dopo due o tre volte che gliela mostro. Il ‘gol’ è quando ci dicono ‘non serve più che facciate questo intervento, perché ora lo facciamo noi’».
In quali Paesi avete lasciato la maggiore impronta?
«Bangladesh e Nepal. Ci sono etnie che sono meno stimolate nell’apprendimento. In Vietnam non si fa in tempo a finire l’intervento che loro lo rifanno uguale».
Porta gli studenti durante questi viaggi?
«Quelli della specialità, li porto per istigarli a procedere su quella strada».
Cosa prova ora che non sarà più ‘unsung’ (non celebrato)?
«È un riconoscimento che non mi aspettavo e riguardo a quel ‘unsung’, sono contento di esserlo e chiederò al Dalai Lama di dispensarmi dall’essere ‘sung’ (celebrato, ndr). Cito un proverbio tibetano: le parole sono mere bolle d’acqua, i gesti sono perle d’oro».

Saverio Migliari