Bologna, 18 marzo 2014 - «BOLOGNA non è una città d’arte? L’assessore Ronchi non è ben informato, o non ha mai alzato gli occhi sugli affreschi della volta in Consiglio comunale». E’ la stoccata del critico d’arte Eugenio Riccòmini all’assessore alla Cultura Alberto Ronchi, che sul fronte dell’organizzazione museale della città ha alzato (momentanea) bandiera bianca per mancanza di risorse e un mondo artistico fin troppo variegato tra gestori pubblici e privati. Passi tutto, dice Riccòmini, ma «è grave considerare città artistiche solo quelle che portano soldi agli alberghi».

Bologna, «come tutte le città italiane, è un’opera d’arte in sé. Non bisogna guardare solo ai grandi centri che compaiono nell’elenco degli organizzatori turistici italiani e stranieri. Chissà quanti consiglieri e assessori non si sono mai soffermati davanti a un bel quadro: sono analfabeti nella materia che per noi italiani dovrebbe essere la più importante e che invece non è più neppure insegnata a scuola».

Come considera l’apertura ridotta di alcuni musei felsinei, tra cui spicca la Pinacoteca?
«Purtroppo è una situazione diffusa nel Paese, tranne che nelle principali mete del turismo organizzato come Venezia, Roma e Firenze. Quanto alle Pinacoteche, sono luoghi ahimè deserti: abbiamo le più belle opere a livello mondiale, ma l’affluenza è minima. Detto questo, non si può pretendere che i cittadini vadano ad ammirare opere di cui nessuno ha mai insegnato loro nulla».

L’amministrazione quindi non può davvero fare niente?
«No, l’assessore alla Cultura non ha le mani legate: può fare proposte e lanciare iniziative parlando con i diversi attori, anche privati, coinvolti nel mondo artistico della città; potrebbe persino dare dei fondi alle scuole e agli istituti perché l’arte torni finalmente tra i banchi, magari per formare una classe dirigente più consapevole della nostra immensa ricchezza».

I proprietari e i gestori delle strutture però sono tanti: come risolvere questa frammentazione?
«Le opere d’arte sono dei cittadini: deve essere lo Stato a prendersene cura e a organizzarle. La proprietà è marginale, perché lo Stato ha potere per legge su ogni opera d’arte, tramite le Soprintendenze, che per fortuna sono formate da persone estremamente competenti sulla materia. Abbiamo queste istituzioni che tutto il mondo ci invidia: l’assessore alla Cultura deve saper dialogare con esse».

Valeria Melloni