Caso Acer, la Procura ricorre in Cassazione contro il gip

Bimbo morto dissanguato, il giudice aveva ordinato nuove indagini. I pm: "Provvedimento abnorme"

Il procuratore capo Giuseppe Amato

Il procuratore capo Giuseppe Amato

Bologna, 14 febbraio 2018 - È scontro aperto fra la Procura e l’Ufficio gip. Il procuratore capo Giuseppe Amato e il pm Antonello Gustapane hanno infatti depositato un ricorso in Cassazione contro il decreto del giudice Grazia Nart, capo dell’Ufficio gip, che ha respinto l’archiviazione chiesta dalla stessa Procura del fascicolo sul decesso di Alessandro do Rosario, il bambino di nove anni che il 5 agosto del 2016 si ferì con il vetro di una portafinestra di un appartamento Acer a Bologna, in via Benini, morendo poi dissanguato.

Secondo Amato, il provvedimento del gip è «abnorme» perché travalica i suoi poteri, nella parte in cui il giudice ordina al pm di chiede di individuare «altri soggetti eventualmente responsabili per Acer, Acer Promos e Comune di Bologna», oltre al tecnico Acer Vinicio Mario Bertoli, per il quale il gip ordina invece al pm di formulare l’imputazione coatta.

In sostanza, la Procura, che ne aveva chiesto l’archiviazione, dovrà invece chiedere il rinvio a giudizio per Bertoli, accusato di omicidio colposo perché, quale capo del settore amnutenzione, non fece sostituire il vetro non a norma perché troppo sottile. E fin qui nulla di male, si tratta di normale dialettica fra giudici e pm.

Il problema, secondo la Procura, è quello che Nart scrive dopo e cioè di fare l’imputazione coatta di Bertoli «previa individuazione di altri soggetti eventualmente responsabili» di Acer e Comune. Secondo Amato e Gustapane, quella scelta del gip è censurabile in quanto atto «abnorme» perché adottato in «palese violazione della legge». Una violazione che per i magistrati riguarda «sia la regola costituzionale che riserva al pm il potere di esercitare le funzioni requirenti; sia dell’inviolabile diritto di difesa delle persone accusate di aver commesso il reato contestato». Il gip avrebbe quindi «imposto l’esercizio ‘coattivo’ dell’azione penale» rispetto a persone non oggetto della richiesta del pm, «cagionando un grave pregiudizio per i diritti di difesa di coloro, che, senza avere potuto partecipare all’udienza camerale, si troverebbero ‘rinviati a giudizio’ senza avere avuto la possibilità di difendersi». La parola ora passa ai Supremi giudici di Roma.

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