Il clochard che gioca a scacchi: "Sfido i passanti in mezzo alla strada"

Antonio, 40 anni e laureato: "Non chiedo soldi, è la mia regola" FOTO Le partite su via D'Azeglio

A destra, Rafael Antonio Quevedo

A destra, Rafael Antonio Quevedo

Bologna, 25 ottobre 2015 - Nella popolarissima e lussuosa via D’Azeglio, nel centro di Bologna, a due passi da dove viveva Lucio Dalla, lo conoscono tutti. «Ciao Antonio», gli lancia la signora elegante che passa in bicicletta, «Buongiorno Antonio» lo saluta la proprietaria della boutique di fronte. Lui se ne sta accucciato all’angolo di via Marescalchi, le ginocchia raccolte quasi a non voler occupare troppo spazio, un libro in mano e una scacchiera davanti. Rafael Antonio Quevedo (FOTO), padre spagnolo e madre italiana, è nato a Bologna 40 anni fa, si è laureato in Economia e Commercio e da tre vive per strada sfidando i passanti a scacchi in cambio di qualche moneta anche se a volte «giocano e non lasciano niente, ma io non chiedo soldi, è la mia regola».

Tre anni da homeless vissuti dormendo sulla scalinata del Paladozza (è lo storico palazzetto del basket) fra le invidie dei mendicanti e le insidie dell’eroina confluiscono nel monologo ‘Scacco Matto’, in programma oggi alle 17 al Teatro del Navile, sempre sotto le Due Torri.

Con la famiglia a Bologna e una laurea in tasca, la vita di strada è una scelta o una necessità?

«Nessuno farebbe questa scelta. Con i miei ho rotto i ponti da diversi anni… Ho lavorato al McDonald’s e come portiere al Baglioni (un prestigioso hotel della città ndr), ma con la crisi sono rimasto senza lavoro e senza casa. Faccio l’imbianchino con un amico ma si lavora poco, per fortuna da quest’estate ho un tetto nella comunità di padre Anselmo in via Ferrarese».

Come le è venuta l’idea degli scacchi?

«All’inizio chiedevo l’elemosina, poi ho voluto dare qualcosa in cambio sfruttando la passione per gli scacchi. Mi ha insegnato a giocare mio padre quando avevo sei anni e ho frequentato il Circolo scacchistico di via de’ Poeti vincendo anche qualche trofeo».

Chi si ferma per una partita?

«Molti stranieri, qualche studente, i bimbi con le mamme e le signore anziane che non giocano ma mi lasciano sempre delle monete».

Le bastano per vivere?

«Sì, nelle giornate peggiori tiro su 5 euro, in quelle buone 20. Poi c’è sempre chi mi regala dei vestiti o mi porta un panino e a me piace ricambiare, quando posso, comprando un gelato ai bimbi. In via D’Azeglio ho trovato una mamma, la signora Fedora che mi ha prestato anche un pc per scrivere i miei romanzi: uno di fantascienza e uno sulla vita di strada a cui si ispira anche lo spettacolo».

Cosa racconta in ‘Scacco matto’?

«Della difficile convivenza fra mendicanti, pensavo che ci fosse un codice d’onore invece è un cane mangia cane, dell’eroina che ti viene offerta e che molti accettano per sopportare il freddo e la fame, ma anche di un mondo fatto di eccezionale umanità».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro