Cocaina, in aeroporto una ‘talpa’ delle cosche

La droga delle Farc colombiane per la ‘ndrangheta arrivava al Marconi, tre arresti

Gli investigatori delle squadre mobili di Reggio Calabria e Bologna hanno eseguito 18 misure cautelari

Gli investigatori delle squadre mobili di Reggio Calabria e Bologna hanno eseguito 18 misure cautelari

Bologna, 11 gennaio 2017 - Ci sono le Farc colombiane, c’è un’organizzazione paramilitare che vuole emergere nel traffico di droga, c’è la ’ndrangheta. E poi c’è Bologna, insospettabile crocevia di neve. Sembra una puntata di ‘Narcos’. E invece è un’indagine della Squadra mobile di Reggio Calabria, portata avanti dal 2011 sotto l’egida della Dda calabrese e in collaborazione coi colleghi del capoluogo emiliano, che è culminata ieri con l’arresto di diciotto persone (altre otto sono indagate), accusate a vario titolo di spaccio e traffico internazionale di cocaina. Le radici dell’organizzazione affondano nella Locride: ma i rami di quest’albero arrivano fino a Bologna, dove si trova una delle teste dell’associazione, Michele Galantino, 44 anni, titolare di una concessionaria di motocicli, residente in via Mezzofanti; e dove vivono anche Massimiliano Bortone, 44 anni, guardia giurata già al lavoro all’aeroporto Marconi, di ‘professione’ corriere del clan; Christian Alberoni, 41 anni, ‘cavallo’ del gruppo; e poi un finanziere, Renato Polverino, originario di Bari e residente nel Modenese, all’epoca dei fatti in servizio al primo gruppo della Guardia di Finanza e al lavoro in aeroporto. I primi tre sono stati arrestati (Alberoni è ai domiciliari, gli altri in carcere); il militare è al momento soltanto indagato.

Il sospetto degli inquirenti è che gli ‘appoggi’ che il clan vantava al Marconi (agli atti c’è anche un’altra guardia giurata al corrente dei traffici) abbiano permesso a Bortone di passare indisturbato i controlli di frontiera, con il suo carico di coca destinato alla piazza bolognese. La coca partiva dal VI fronte delle Farc nel dipartimento del Cauca, in Colombia. I corrieri se la attaccavano al corpo col nastro adesivo e poi si imbarcavano con voli diretti Bogotà-Madrid, per poi proseguire verso Bologna. Una volta in Italia, la droga veniva smistata verso Lombardia, Campania e Abruzzo. In una circostanza, a novembre del 2012, un carico fu intercettato all’aeroporto internazionale di Madrid: in manette finì Fabio Monizza, residente nel Milanese. Con sé aveva 2,330 chili di coca. Altro stupefacente arrivava alla banda per mare, sulla rotta Bogotà-Gioia Tauro.

In Sud America, l’aggancio dell’associazione a delinquere, al cui vertice c’erano Giovanni Palamara e Rocco Morabito, contigui alla cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara, era Carlos Eulogio Esquivel Lozada. Il narcos colombiano trattava direttamente con le Farc e con Palamara e, in più occasioni, come agli atti, avrebbe incontrato Bortone, nei suoi viaggi di ‘lavoro’. Tra loro non doveva però correre buon sangue, visto che in una conversazione tra il colombiano e Palamara, la guardia giurata bolognese viene chiamata ‘cane’: «no, no, no – dice Esquivel al compare –. Non voglio sapere più niente di quel cane».

Un ruolo e un rispetto diversi erano invece dovuti a Galantino, anche per il vincolo di parentela che lo legava a Francesco Fiore, sodale e amico di Palamara. ‘Ciccio’ Fiore, anche lui finito ieri in carcere, cognato di Galantino, era il tramite tra il capo del gruppo bolognese e il clan di Reggio Calabria. Un ruolo per nulla marginale quello di Galantino, ritenuto dalla polizia organizzatore, promotore e finanziatore delle attività. In una circostanza, infatti, Galantino avrebbe investito 45mila euro in una compravendita di coca. Più marginale la figura di Alberoni, che spacciava al dettaglio la sostanza, tenendo rapporti in particolare con Bortone, con il quale si incontrava in un paio di bar in zona Murri per consegnargli, di volta in volta, la droga da spacciare tra Bologna e provincia.

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