Bologna, maxi eredità a Padre Marella. La sorella: "Non contesterò"

Parla la sorella dell’imprenditore che ha lasciato 70 milioni a due enti religiosi

La sede della Francesco Colombo, in zona Fossolo

La sede della Francesco Colombo, in zona Fossolo

Bologna, 27 ottobre 2016 - "I soldi di Gino? Non li volevo e non mi interessano. Mi sono accontentata del bene che mio fratello mi ha sempre voluto. Semmai vorrei riaverlo qui, ma so che non è possibile". La voce di Elena Stefanelli, squillante e lucida come volesse far dispetto ai suoi 93 anni, è velata solo da un profondo dispiacere: non poter sentire suo fratello Gino - imprenditore edile, morto lo scorso 3 ottobre a 88 anni - come ha fatto per tutta la vita due volte al giorno: al mattino, appena sveglia, e alla sera, prima di andare a letto.

Era al corrente del testamento che aveva fatto in favore principalmente dell’Opera di Padre Marella e dei frati domenicani?

«Non lo sapevo: non parlavamo mai di queste cose. A me poi, questo discorso non interessa affatto: di testamenti non ho mai voluto sentir parlare».

Quando lo ha scoperto?

«Stamattina (mercoledì; ndr) leggendo il Carlino».

Cosa ha pensato?

«Non ci sono rimasta male. Più che altro non me lo aspettavo».

È arrabbiata?

«No, no, va bene così. Mi è solo venuto da scherzarci, nonostante in questi giorni non abbia l’umore per farlo...».

Dica.

«Vede, mio fratello da piccolo ha frequentato il collegio dei Domenicani, ma credo non abbia mai saputo – né io gliel’ho mai detto – quanta fatica io stessa abbia fatto per pagare i suoi studi. Ora che i Domenicani sono ricchi potrebbero perlomeno ridarci indietro tutti i soldi delle rette...».

Contesterà il testamento?

«Ma no, sto scherzando. Non ci penso nemmeno. Ho 93 anni, la mia casa, la mia pensione, e vivo con mio figlio che ha 73 anni e ha anche lui la sua pensione. Non abbiamo bisogno di niente. Mio fratello poi mi ha sempre aiutato e mi è sempre stato vicino, soprattutto dopo la morte di mio marito. A me è sempre bastato quello».

Eravate in buoni rapporti?

«Siamo sempre stati molto legati, e con l’andare avanti degli anni il nostro rapporto si è andato rafforzando. Ci volevamo molto bene, ci telefonavamo ogni giorno».

Quando lo ha sentito l’ultima volta?

«La sera del 2 ottobre. Alle sette ci siamo dati la buonanotte, e ci siamo detti ‘a domani’. Ma il domani per lui purtroppo non è più venuto».

Era ammalato?

«Stava benissimo. Anzi era lui a preoccuparsi per me. Perché ho i miei acciacchi, e perché 93 anni sono pur sempre 93 anni. Lui invece era attivissimo, e ha lavorato fino al giorno prima di stare male».

Ebbe l’azienda in eredità?

«Macché, Gino ha sempre fatto tutto da solo. Prima in Gazzotti, poi con la sua azienda. Ha cominciato da niente. Anzi, da meno di niente. È sempre stato molto bravo nel suo lavoro».

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