Bologna, un giro del Mondo in Ducati con solo una mappa e coraggio

Sessant’anni fa l’impresa di Giorgio Monetti e Leopoldo Tartarini

Monetti e Tartarini in una foto scattata durante il viaggio, che iniziò il 30 settembre 1957

Monetti e Tartarini in una foto scattata durante il viaggio, che iniziò il 30 settembre 1957

Bologna, 30 settembre 2017 - Era il 30 settembre 1957 quando Giorgio Monetti e Leopoldo Tartarini, all’età di 25 anni, in sella a due Ducati 175, intrapresero, per primi, un viaggio che avrebbe segnato per sempre le loro vite. Un anno, circa 90mila km, una quarantina di paesi, bagagli leggeri con pochi vestiti, un kit di emergenza, una macchina fotografica Rolleiflex, una cinepresa Paillard a tre obiettivi e un unico grande sogno: scoprire il mondo. Il viaggio fu sponsorizzato e patrocinato dal team Ducati, per cui Tartarini aveva corso prima di infortunarsi nel ’56. Questo sfortunato evento diede il via a un’idea folle, mai valutata fino ad allora che, in poco tempo, divenne realtà. Le moto che hanno accompagnato i giovani motociclisti erano, infatti, prototipi della Ducati 175 che, grazie all’impresa, furono pubblicizzati in tutto il mondo. Oggi, al sessantesimo compleanno dal ‘varo’ dell’impresa, Giorgio Monetti ha voluto raccontare un viaggio a tutt’oggi sorprendente, in memoria dell’insostituibile compagno e amico Tartarini, scomparso qualche anno fa.

Monetti come organizzaste quell’impresa?

"Dall’idea del viaggio fino alla partenza effettiva abbiamo cercato di organizzare tutto il possibile ma, una volta partiti, l’improvvisazione prese inevitabilmente il sopravvento. Avevamo bagagli leggeri e una carta geografica di tutto il mondo, nessun navigatore o Gps come al giorno d’oggi. Dormivamo dove capitava, spesso in letti d’occasione. Usavamo il dito come misura di riferimento e potevamo contare solo su noi stessi".

Dove siete stati?

"Abbiamo visitato il Medio Oriente, l’Asia del Sud, Giava, Sumatra, l’Australia, la Nuova Zelanda, poi, attraversando il Pacifico siamo giunti in Sud America, poi l’Africa".

E quale paese o popolo le è rimasto più impresso?

"Sicuramente la cordigliera delle Ande. Un paesaggio che non avevo mai visto nella mia vita e che, sicuramente, non avrei mai immaginato. Ci ho lasciato il cuore. Avevamo fatto svariate foto e riprese, purtroppo però i rullini finivano in acqua spesso: molte immagini sono andate perdute".

Avrete dovuto affrontare molti imprevisti.

"Abbiamo avuto qualche problema di dislivello. Del resto dovevamo attraversare paesi in cui la pendenza variava spesso e volentieri. Eravamo partiti in ogni caso con i principali pezzi di ricambio".

Quale esperienza l’ha stupita maggiormente?

"Quando arrivammo in Indonesia il Paese era in piena rivoluzione, e nessuno dall’Italia aveva fatto in tempo ad avvertirci. Appena ci videro ci misero in galera, poi ci rilasciarono. Ma siamo stati fortunati ad essere stati arrestati, altrimenti ci avrebbero ammazzato".

Fu contento di tornare a casa?

"Abbiamo fatto molta fatica al ritorno, nonostante l’accoglienza da eroi che abbiamo ricevuto. Ho visto Paesi così diversi che il mondo che avevo sempre conosciuto come mio sembrava piccolo e ottuso. Da allora però ho imparato a giudicare in fretta: in viaggio non avevi tempo di riflettere. In quel viaggio ho anche conosciuto mia moglie, a Melbourne. Anche per questo di quell’esperienza conservo un ricordo indelebile".

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