Uno Bianca, "Occhipinti deve restare in carcere. Anch’io sono condannato a vita"

Parla il padre di Carlo Beccari, una delle vittime della banda

Luigi Beccari è il babbo di Carlo, ucciso  a 22 anni durante una rapina della Uno bianca

Luigi Beccari è il babbo di Carlo, ucciso a 22 anni durante una rapina della Uno bianca

Bologna, 26 agosto 2015 - Signor Luigi Beccari, lei è il papà di Carlo, ammazzato dalla banda della Uno Bianca. Per l’omicidio è stato condannato anche Marino Occhipinti, che ora chiede di uscire dal carcere...

«Non è giusto. Non lo accetto. Occhipinti deve restare dentro. Fino all’ultimo giorno. Deve finire i suoi giorni in carcere. Se lo faranno uscire sarà meglio che giri al largo da Bologna, altrimenti ci penserò io a lui. Lo scriva, non ho paura».

Occhipinti si è pentito e scusato. Anche sua madre ha chiesto scusa. Lei lo perdonerà mai?

«Non ci può essere perdono. La madre ha detto di voler venire a casa mia per scusarsi. Non lo faccia. Non venga mai qui. Occhipinti e i fratelli Savi hanno distrutto le vite di tantissime persone. Mia moglie Agata è morta di dolore. E io mi sono ammalato, sopravvivo sulla sedia a rotelle aspettando di morire».

Suo figlio Carlo aveva 22 anni. Aveva moglie e figlia...

«Si era sposato tre anni prima e avevano avuto subito la bambina, Veronica. Quel giorno, il 19 febbraio 1988, non doveva nemmeno essere al lavoro, sostituiva un collega. Scese dal blindato per tentare di salvare il suo superiore e lo ammazzarono a fucilate. Questo era Carlo. Un bravo ragazzo, era tutto per noi. Da allora la nostra vita è finita».

Chi le disse cos’era successo?

«Mi dissero che aveva avuto un incidente. Pensai che non doveva essere una cosa grave, visto che viaggiava su un blindato. Io e mia moglie facemmo tutti gli ospedali, finché non arrivammo al Bellaria. Lì vedemmo il nostro Carlo nella camera mortuaria».

I killer sono stati condannati.

«Occhipinti aveva la stessa età di Carlo. Era giovane, ma questo non lo scusa. Doveva pensarci prima. Come ho detto, mia moglie ha cominciato a stare male. Mia nuora, pugliese, e la nipotina sono tornate a Bari, per ovvi motivi. Vengono a trovarmi 2-3 volte all’anno. Vorrebbero che andassi là, ma io voglio restare qui, dove ho sempre abitato (nella periferia est di Bologna; ndr) e dove c’è la chiesa in cui Carlo, il nostro unico figlio, è stato battezzato, cresimato e dove si è sposato. In quella stessa chiesa si è celebrato il suo funerale. C’erano i carabinieri che sparavano i colpi in aria. Il mio mondo è qui».

La addolorano questi ripetuti tentativi dei Savi e di Occhipinti di avere sconti e benefici?

«Ho 80 anni, sono un camionista in pensione, e passo le mie giornate pensando a mio figlio che non c’è più. Voglio solo una cosa: giustizia. Voglio saperli in carcere, a pagare per ciò che hanno fatto. Solo così potrò tranquillizzarmi. Solo così potrò morire sereno. Sa cosa mi importa veramente?».

Prego.

«Ci sono stati i risarcimenti, ma io ho dato tutto alla moglie e alla figlia di Carlo. Non ho voluto niente. Ogni anno c’è la commemorazione, cui non manco mai. Gli hanno dedicato una piazza e un cippo. Ma tutto questo non ha importanza. Non me ne faccio nulla. L’unica cosa che conta è la giustizia. Altrimenti tutto sarà stato inutile. Devono solo tacere e restare in carcere. La mia condanna è a vita, deve esserlo anche la loro».

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