Via Ristori, dentro la 'moschea'. "Veniteci a trovare"

Muddasar, vicepresidente dell'associazione: "Faremo incontri, ci sarà una biblioteca e non saremo mai più di 30" VIDEO

Via Ristori, il centro di cultura islamica (FotoSchicchi)

Via Ristori, il centro di cultura islamica (FotoSchicchi)

Bologna, 28 agosto 2016 - Non vedevano l’ora di aprire le porte del cantiere dove sorgerà il loro centro, i responsabili di Hazrat Sultan Bahu Trust Italy. Venuto a sapere della raccolta firme, ieri mattina si sono presentati in via Ristori. Solo che i banchetti erano stati allestiti più in là. Si presentano: Ahmed Muddasar, muratore e vicepresidente della costituenda associazione. Tahir Mahmood, magazziniere, rappresentante della comunità pachistana ferrarese, venuto in veste di ‘diplomatico’. Fanno strada all’interno, dove il colonnato e le nicchie sanno già di Oriente. I muri sono piastrellati. Le rifiniture arzigogolate. "Ma questa non è una moschea – avverte Muddasar –. Continueremo a pregare altrove, e per i raduni continueremo a prendere in affitto i locali del Pd, in via Andreini. Chi lo vorrà, potrà pregare anche qui. Ma non ci saranno mai più di 25-30 persone". A cosa serve via Ristori, allora? "Sarà la sede legale dell’associazione. Ospiteremo incontri culturali, feste di compleanno dei bimbi, assistenza ai connazionali. Ci sarà una biblioteca con testi in italiano e hurdu, perché la lingua è il primo ostacolo per molti di noi" (VIDEO). 

Quando aprirà? "Dipende dai soldi, che sono finiti, e sa perché? Qui abbiamo fatto tutto con delle collette: nessun misterioso aiuto dall’estero, fuorché il nome del centro e la guida spirituale del sufi Hassan Qadri". Perché i residenti sono arrabbiati? Lo chiede Muddasar. Gli risponde Mahmood, che la sa lunga: "Sono membro da anni della consulta provinciale ferrarese per l’immigrazione – anticipa –. Conosco le paure degli italiani, e so anche che molti partiti le cavalcano a fini politici. Ma sa con chi lavoriamo meglio? Forza Italia e Lega. Perché loro sollevano le proteste, ma paradossalmente ci danno modo per spiegarci, conoscerci, creare un contatto». Il contatto è un punto su cui tornano spesso: "Siamo qui da anni – specificano –. Siamo italiani ma nessuno fa nulla per integrarci. Centri come questo dovrebbe realizzarli il Comune. Sono importanti per la nostra comunità e per i nostri figli. Altrimenti starebbero troppo in strada, e potrebbero prendere cattive strade".

Sulla jihad hanno le idee chiarissime. Mahmood sta organizzando un dibattito, a Cento, col patrocinio del Comune. "Altri ne faremo qui. Perché viviamo tempi drammatici, e il terrore degli attentati è anche nostro. L’unico antidoto che abbiamo è creare ponti, parlarci, capirci. Creare un argine di civiltà al terrorismo. E se c’è un mea culpa da fare, Muddasar e Mahmood non hanno dubbi: "Contavamo di presentarci ai residenti a lavori finiti. Invece, visto il clima, avremmo dovuto farlo prima. Ha dato un’occhiata al nostro profilo su Facebook? All’inaugurazione di Portomaggiore c’erano il sindaco, le forze dell’ordine, i vicini di casa... Avremmo fatto la stessa cosa qui. Ma si fa sempre in tempo: andremo all’assemblea di condominio. Siamo pronti a dialogare". 

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