Lutto nel jazz, è morto Nardo Giardina. Il ricordo di Pupi Avati

Avrebbe compiuto 82 anni a novembre: ginecologo prestato alla musica, ha segnato con la sua band un'epopea della musica. La lettera del regista: "Addio amico mio"

Nardo Giardina è morto, lutto nel jazz

Nardo Giardina è morto, lutto nel jazz

Bologna, 27 marzo 2016 - Sembrava una banale influenza, niente che facesse presagire il tragico epilogo del tardo pomeriggio di ieri. Nardo Giardina, 82 anni il prossimo 8 novembre, era da qualche giorno a letto e il medico era passato anche ieri a visitarlo senza riscontrare particolari problemi, ma alle 18 il suo cuore ha cessato di battere. E’ passato così, nel sonno, il ginecologo, rotariano di ferro, prestato al jazz o viceversa che ha scritto per oltre sessant’anni con la sua Doctor Dixie, di cui era leader, trombettista (il suo mito era Armstrong) e voce, l’epopea della musica da cui è nata quella moderna. 

IL RICORDO DI PUPI AVATI - Caro Nardo, questa lettera non avrei mai voluto scrivertela, ma se lo faccio è perché tutti sappiano il ruolo straordinario che hai avuto nel dare gioia e bellezza alla nostra città. Nei remoti giorni del primo dopoguerra quando su un carro trainato da buoi, a capo della Superior Magistratus Jazz Band allagasti i vicoli, le vie, le piazze, con la tua musica scintillante, con quelle note del tutto nuove alle nostre orecchie ci mostrasti un nuovo modo di vedere la vita, un modo diverso e più eccitante di essere felici.

E da allora, Nardo, tu, fino a pochi giorni fa, non hai più smesso di svolgere questo ruolo di portatore di gioia e bellezza. Se il Jazz ha trovato in Bologna quel misterioso habitat così straordinariamente accogliente lo si deve soprattutto a te e a quei pochi che per primi ti furono accanto in quella battaglia. Se Bologna fu la prima città italiana a vantare un festival del jazz veramente internazionale che vide esibirsi sui nostri palcoscenici i più grandi nomi della storia di quella magica musica, lo si deve a voi.

Quanto desiderai Nardo entrare nella vostra orchestra, quanto avrei voluto fraseggiare con il mio clarinetto nell’ottava più acuta mentre tu ci trascinavi nel collettivo finale di Tiger Rag. Ho tentato di dirlo in mille circostanze, addirittura dedicando a quel mio sogno quel “Jazz Band” che in tv riscosse un’inimmaginabile successo. I sogni non sempre si avverano ma il mio sì. Il vostro clarinettista per ragioni di studio doveva trasferirsi in America. Si doveva provvedere a un sostituto. Tutti i clarinettisti di Bologna (ma forse del mondo ) vissero quei giorni in uno stato di sospensione temporale, di inimmaginabile tensione. Ma fra i tanti telefoni silenti, nelle case di chi aveva sognato per notti la chiamata, fu il mio a trillare: ‘Sei Pupi ?’, mi chiese qualcuno che non seppi immediatamente riconoscere. ‘Sì, chi sei?’. ‘Nardo Giardina…’. Ci fu un silenzio . Lo stesso silenzio del mio studio, qui a Roma. Sto piangendo, adesso Nardo, alle 20,30 della vigilia di Pasqua del 2016, sto piangendo Nardo, scrivendo il tuo nome e ritrovando dentro di me l’emozione e la gioia che mi desti cinquantacinque anni fa. Dovevo urlarlo a mia madre, ai miei fratelli, dovevo affacciarmi al terrazzo e urlarlo a tutta via Saragozza: ‘Mi ha chiamato Nardo Giardina !!!’.

Dopo un “provino” alla Panigal, nel frattempo la band aveva trovato uno sponsor, entrai a far parte della tua formazione. Avevo forse diciotto anni e andarmene in giro per l’Italia (solo dopo poco per l’Europa) a fare concerti, mi convinse che la felicità, quella piena, quella senza limiti, esiste. Per anni abbiamo diviso alberghi, pullman, treni, palcoscenici o locali notturni con te che mi eri sempre accanto sorreggendomi, incoraggiandomi, suggerendomi qualche passaggio, supportandomi soprattutto quando con l’ingresso di Lucio nella band i miei limiti si andarono via via sempre più evidenziando. Furono anni difficili e tu lo intuisti e mi fosti vicino, convinto che ce l’avrei potuta fare. Mentre affrontavate arrangiamenti sempre più complessi in un miglioramento che l’intera band stava evidenziando io vedevo attorno a me solo salite.

Quando decisi di lasciare passammo gran parte di quella notte dentro la tua auto, davanti a casa mia. Non ti volevi rassegnare all’idea che io me ne andassi, eppure a un musicista talentuoso come te era chiaro come il mio percorso si fosse concluso, come la mia mancanza di talento zavorrasse il gruppo. Ma non volevi darti per vinto, quando mai Nardo hai accettato una sconfitta, e così insistesti fino allo stremo.

Fu bella, grande, generosa, quella tua insistenza Nardo. Fu bello sapere che il mio dolore per quella sconfitta era diventato il tuo. E’ da quella notte, da quando le nostre strade si sono separate, che ti voglio bene. Da quando sono sceso dalla tua Seicento per infilare la chiave nel portone di casa mia. Avevo l’astuccio del clarinetto che mi pendeva da una mano, come sempre, ma ormai inutile. Eri ancora lì quando feci per entrare. ‘Ripensaci…’ - mi urlasti - ‘io ti aspetto!!!’. Richiusi il portone. Grazie Nardo per avermi aspettato. Sempre.

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