Scarcerazioni facili, così i giudici ‘aggirano’ l’ostacolo

"Spacci vicino all’università? In cella": magrebino dentro per l’aggravante della vendita davanti alle scuole

Siringhe a terra (foto d'archivio)

Siringhe a terra (foto d'archivio)

Bologna, 25 ottobre 2016 – C’è un’innovativa decisione dei giudici che potrebbe influire parecchio sul destino di piazza Verdi, liberandola dagli spacciatori abituali. Questa, almeno, è la speranza dei residenti. Se infatti il principio espresso di recente prima da un gip e poi dal Riesame verrà accolto da tutti colleghi in toga, anche i piccoli spacciatori, se arrestati in zona universitaria, finiranno dentro. E, soprattutto, ci resteranno, nonostante la legge impedisca la custodia in carcere per lo spaccio di lieve entità.

Come? Semplice, i giudici hanno accolto l’impostazione della Procura che a metà luglio ha contestato a un magrebino, pizzicato dai carabinieri mentre cedeva hashish in piazza Scaravilli, l’aggravante di aver venduto droga vicino a una scuola. Così la pena massima è passata da 4 a 6 anni, rendendo possibile la misura più grave.

Si tratta di un’interpretazione nuova e destinata a far discutere. Gli avvocati, infatti, la contestano in toto. Per loro l’aggravante si applica alle scuole medie e superiori, non certo all’università.

Il caso specifico riguarda un magrebino arrestato il 7 luglio in piazza Scaravilli, di fronte a Economia, mentre, in bici, vendeva due grammi e mezzo di ‘fumo’ a un giovane per dieci euro.

Il gip ha dato ragione al pm che aveva contestato l’aggravante prevista se la cessione è effettuata, dice la legge, «in prossimità di scuole di ogni ordine o grado», perché «l’attività di spaccio di droga – scrive il giudice – acquista maggior gravità ove commessa in prossimità di un istituto di istruzione in quanto luogo particolarmente frequentato da potenziali acquirenti (...) quali sono gli studenti (...) Tale maggior severità trova altra giustificazione nel fatto che le persone giovani sono più deboli e, quindi, più vulnerabili nel porre in essere un’azione come quella dell’acquisto di droga».

Per la difesa, invece, le scuole di cui parla la legge sono unicamente quelle di primo e secondo grado, «essendovi in Italia una netta separazione tra scuola e università». Quindi per l’avvocato Luciano Bertoluzza, legale del pusher, pluripregiudicato e senza fissa dimora, andava contestato solo il piccolo spaccio, quello non aggravato, che non prevede il carcere.

Ma il riesame il 12 agosto ha confermato l’interpretazione del gip. Il collegio formato da Grazia Nart (presidente ed estensore), Nadia Buttelli e Alessandra Testoni sottolinea nell’ordinanza che «la norma parla di cessione all’interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado» e aggiunge che lo spaccio vicino a quei luoghi «assume, secondo la ratio della norma in questione, maggior pregnanza e gravità proprio perché si tratta di luoghi particolarmente frequentati da giovani, certamente più deboli e quindi più vulnerabili nel porre in essere un’azione di acquisto di droga per uso personale, che nuoce gravemente alla loro salute».

Non solo. Anche l’università rientra nei casi previsti dall’aggravante, per il Riesame, perché la norma «non sembra affatto distinguere tra scuola (primaria e secondaria) ed università, trattandosi di luoghi comunque tutti frequentati da giovani che proprio la ratio della norma vuole tutelare». Peraltro, nella stessa legge c’è un’aggravante specifica per lo spaccio ai minorenni, quindi far rientrare nel concetto di scuole solo le medie e superiori renderebbe l’aggravante in questione, per i giudici, «un’inutile duplicazione».

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