Vasco Rossi, dall'ex manager Salvati una versione costruita a tavolino

Le motivazioni del giudice che ha condannato l'uomo a due anni per calunnia nei confronti del rocker

Stefano Salvati, ex manager di Vasco Rossi, condannato a 2 anni (foto Ansa)

Stefano Salvati, ex manager di Vasco Rossi, condannato a 2 anni (foto Ansa)

Bologna, 23 giugno 2017 – ''Una versione dei fatti tutt'altro che genuina, ma costruita a tavolino''. Così il giudice Valentina Tecilla nelle motivazioni depositate oggi della sentenza con cui ha condannato a due anni per calunnia l'ex manager di Vasco Rossi, Stefano Salvati. Il nodo del contendere era un  patto di riservatezza firmato da Salvati che, secondo Vasco, era a titolo gratuito, mentre secondo l'ex manager era a titolo oneroso, visto che prevedeva un compenso di ben sei milioni spalmato in trent'anni. Una tesi, quella di Salvati, considerata falsa e bocciata in toto dal giudice. 

"È del tutto inverosimile - scrive Tecilla - che Vasco Rossi, già determinatosi nel mese di marzo 2013 a risolvere anticipatamente il contratto di prestazione di attività manageriale che lo legava a Stefano Salvati, ad aprile abbia deciso di garantire allo stesso Salvati un corrispettivo assai significativo, in cambio di un impegno alla riservatezza che tutti gli altri collaboratori avevano già sottoscritto a titolo gratuito". 

Secondo il giudice, dunque, Salvati ha falsificato il patto in suo possesso e poi ha accusato falsamente il Komandante di aver predisposto un contratto fasullo, quello a titolo gratuito, che invece era genuino. Una versione, quindi, "predisposta a tavolino" quella dell'ex manager come dimostrano le prove testimoniali, documentali e logiche, che danno la 'certezza' dell’autenticità del patto gratuito tra i due e della falsificazione nel contenuto di quello oneroso. 

Per l’avvocato Guido Magnisi, difensore di Vasco, è una sentenza "lapidaria, di rara efficace chiarezza".

Salvati, difeso dagli avvocati Francesco Tafuro e Raffaele Miraglia, il 24 maggio è stato condannato anche ad un risarcimento di 10mila euro, cifra che il cantante ha già annunciato che devolverà in beneficenza.

Nella sentenza il giudice spiega  non c’era ragione "per riconoscere un compenso ulteriore rispetto all’impegno alla riservatezza che il collaboratore-dipendente" di Vasco "assumeva nei confronti di quest’ultimo". Neppure c’era ragione "perché a Salvati venisse riconosciuto un corrispettivo mentre per tutti gli altri non venisse riconosciuto alcunché in cambio dell’impegno alla riservatezza".

Si rileva poi "che il compenso indicato nel patto di riservatezza falsificato è talmente esagerato, sia per l’importo sia per la sua durata, da palesarsi in sé irragionevole". Soprattutto considerando che, già a marzo 2013, Vasco aveva deciso di prevedere la risoluzione anticipata della collaborazione professionale con Salvati.

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