Bologna, 11 maggio 2011 - ROBERTO DE FEO, ricercatore e docente di Storia dell’Arte all’Università di Udine, non pensava certo che la sua ricerca documentaristica potesse suscitare un così grande scompiglio nel quieto mondo dell’arte. Tutto ha origine nel 2008, quando viene a sapere che in una collezione privata nel ferrarese c’è un’opera di Raffaello, la Visione di Ezechiele, uguale a quella conservata al Pitti di Firenze (e forse più bella!). Nasce così il mistero che l’Espresso di questa settimana sviscera nei suoi contenuti. Mistero che passa da Bologna poiché, secondo le prime ricerche, il quadro del Pitti sarebbe stato commissionato dal conte Vincenzo Hercolani, e poi passato al fratello Agostino sino ai Medici, quindi al Pitti.
 

Mentre il Raffaello ferrarese, sostiene De Feo, è stato commissionato da altri e giunto in un secondo tempo a Bologna in casa Hercolani, dove il Vasari dice di averlo visto nel periodo 1537-’40. Basilari diventano, per dipanare questo giallo artistico i documenti bolognesi dell’archivio Hercolani di Villa Bel Poggio e dell’Archivio di Stato, nonché quelli del Mediceo di Firenze.
Le strade dei due quadri sono diverse, ma qual è il vero? De Feo ha appena consegnato un saggio scientifico sul caso, e sarà la comunità scientifica a decidere. Per ora resta il fatto che il quadro di Ferrara apre la problematica della autenticità di una delle due opere e, a suo favore, depongono questi argomenti: è realizzato su tavola di pioppo, come Raffaello usava, e non di rovere come quello del Pitti; vi compare il monogramma “SRV” ( Sanctium Raphael Urbinas); sul retro vi sono due traverse in legno, le stesse di cui parla il Bernini quando visionò l’originale.
Nell’archivio Hercolani non si sono trovati i documenti di appoggio alla tesi della vecchia storiografia che vuole il quadro del Pitti già uscito da casa Hercolani nel 1579, perché andato ai Medici.
 

Conte Alessandro Hercolani, il suo archivio cosa comprende?
«L’archivio parte dal 1078 per arrivare alla metà del XX secolo. Comprende la storia della famiglia Hercolani e vari altri fondi di famiglie che, attraverso i matrimoni, si sono ad essa legate. È un ampio spaccato della storia di Bologna, costituito da 3.200 unità archivistiche tra buste, carte e registri; tra gli archivi privati è uno dei più interessanti, ed è consultabile facendo domanda alla Sovrintendenza archivistica di Bologna».
 

Il professore De Feo cosa ha consultato in particolare?
«Ha cercato i documenti, i registri e le lettere relative al periodo della storia del quadro, ossia da quando è entrato in casa Hercolani a quando è uscito».
 

Ossia?
«Nel mio archivio De Feo ha trovato delle conferme per la sua nuova tesi: l’assenza di documenti a sostegno della storiografia del Raffaello di Firenze, passato dagli Hercolani ai Medici e quindi al Pitti, conferma la veridicità di quella del quadro ferrarese: nel 1579 era ancora in casa Hercolani, uscendone molto più tardi per prendere un’altra direzione, che non è quella fiorentina».
 

L’archivio Hercolani già un’altra volta servì per scoprire un errore...
«Certamente, alcuni anni fa un critico d’arte trovò, al museo di Bombay, che un dipinto attribuito a Dosso Dossi era invece un Tiziano, già della Collezione Hercolani e poi passato a Filippo d’Este. Il tutto è qui largamente documentato».