Bologna, 21 gennaio 2012 - DUE GENERAZIONI a confronto: padre e figlia appassionati d’arte, ognuno a modo suo. L’uno guarda all’antichità dall’alto di un nome ormai consolidato tra i media internazionali, l’altra cattura ed interpreta la realtà contemporanea da emergente e per mezzo di modernissimi strumenti. Lui è Valerio Massimo Manfredi e lei è la primogenita Giulia (classe 1984), alle prese con la sua prima mostra personale — Malanotte a cura di Olivia Spatola e Vladimir Isailovic — che s’inaugura il 25 gennaio alle 18 al Museo della Musica (Strada Maggiore 34). La giovane artista irrompe nella classicità del contenitore con una serie di installazioni multimediali, videoproiezioni e sculture che guidano lo spettatore in un viaggio intimo contaminato da sfumature misteriose e oniriche.

 

Giulia, qual è il messaggio della sua arte?
«Voglio cercare di creare un ponte tra l’opera e lo spettatore attraverso una ricerca estetica approfondita; la bellezza è a mio parere un presupposto fondamentale dell’opera artistica, non è solo un mezzo per attirare lo spettatore, ma una componente strutturale inscindibile dell’opera stessa. Ogni pezzo è comunque portatore di un suo significato intrinseco che però cerco sempre di lasciare alla libera interpretazione del fruitore. Amo lavorare d’istinto, quindi è spesso il mio subconscio che esprime, a mia insaputa, un messaggio».
Cos’ha detto suo padre quando ha visto le sculture?
«Ancora non le ha viste illuminate. Certi video gli piacciono molto e per me è una grande soddisfazione riuscire a creare qualcosa che venga apprezzato anche da una persona di impostazione classica come lui. Con questa mostra intendo infatti dare la possibilità a tutti di avvicinarsi all’arte contemporanea, fornendo diverse strade per comprendere di cosa si tratta».
In che modo?
«Attraverso un percorso poetico costituito da quattro colonne luminose sparse per la mostra, ciascuna delle quali conterrà un testo scritto da Isailovic riferito ad un’opera. Grazie alla poesia, lo spettatore potrà così entrare in un determinato stato mentale e nella comprensione totale della creazione. Il mezzo poetico però non vuole essere una spiegazione dell’opera, ma un discorso parallelo che in qualche modo si intreccia con i miei elaborati artistici».