Bologna, 6 agosto 2012 - QUATTRO anni di impegno, la poetica di un artista in tre volumi, il tracciato di una vita in bianco e nero. Un buon disegno, diceva Giovanni Boldini, non ha bisogno di colore. Ecco allora i fogli del maestro ferrarese ordinati uno ad uno: schizzi, studi preparatori, opere finite, chine e matite, immagini raccolte come un film di tremila fotogrammi dalla bolognese Bianca Doria, già curatrice del catalogo generale dei dipinti uscito nel 2000.

Edito da ‘Skira’, l’attuale lavoro si impone per l’accurata veste grafica e per il peso: 885 pagine per sette chili. Tremila, dunque, i disegni catalogati dopo un lungo riordino e ricerche tra le carte dell’archivio Boldini istituito per volere di Emilia Cardona, vedova dell’artista. Boldini non era solo maestro del colore, che trattava in modo da determinare movimento e vitalità del soggetto, era soprattutto padrone di un segno che, nel tratto di matita, si faceva estensione del pensiero, quasi un automatismo emozionale manifestato in modo rapido e talora sintetico.
 

DISEGNI che non hanno bisogno del colore? Non sempre, almeno stando a determinate esecuzioni, soprattutto in quelle dove il tratto preconizza raffigurazioni dove i contorni debbono reggersi su una forte resa luministica. Molti sono gli esempi di un’attenzione al dato emotivo, dato reso evidente dall’indagine espressiva, come avviene nella lettura di svariati ritratti. Ci sono disegni che possono considerarsi opere finite, e quindi non necessariamente da essere ribaditi in senso cromatico, altri invece seguono un processo inverso tra cui, per citarne uno conosciuto ai più, il ritratto di Giuseppe Verdi del 1886, passato dalla pittura a olio al pastello, e dal pastello alla china su carta.
 

BOLDINI non amava datare le opere, forse non voleva sottoporle all’aritmetica del tempo. Quel che è fatto è fatto, sembrava pensare: difficilmente rinnegava un lavoro, a volte gli riusciva difficile distinguere un esercizio di età giovanile da un’opera della maturità. Un vezzo, un modo di dimostrare una bravura che secondo lui non aveva necessità di supporti temporali? Pochi disegni recano date, Bianca Doria e i suoi collaboratori hanno sottoposto le carte a una sorta di analisi storica e scientifica. Alla fine il tracciato messo insieme offre esiti attendibili grazie anche ai documenti lasciati da Emilia Cardona, che Boldini sposò a Parigi nel 1929 nella casa di Boulevard Berthier. Lui aveva 87 anni, lei 30. Si erano incontrati nel settembre di tre anni prima quando la Cardona, giornalista della Gazzetta del Popolo di Torino, ottenne un’intervista dal riottoso pittore.
 

NEGLI ultimi anni Boldini preferiva starsene un po’ in disparte, i lampi della Belle Époque e le vertigini dell’alta società parigina appartenevano a un mondo che, al massimo, poteva riaffiorare dietro un velo di nostalgia. Il nuovo catalogo è un archivio dove la memoria si sgrana tra un secolo e l’altro, tra Otto e Novecento: i disegni sono riflesso di una vita trascritta con la punta della matita, per cui scorrono pagine con ritratti e paesaggi, con immagini che sono esito di appunti presi tra la folla, oppure racconti dell’intimo interpretati dallo stesso pittore in un ambiente zeppo di tele e cornici, e con un pianoforte in attesa che una gentildonna vi si accostasse per essere ripresa.

 

Franco Basile