Il Carlino piange Dino Biondi, un maestro in punta di penna

Si è spento all'età di 87 anni una delle 'colonne' del nostro giornale: la sua fu una lunga carriera di successo, contraddistinta da rigore, misura e pudore

Dino Biondi (Foto Archivio di redazione)

Dino Biondi (Foto Archivio di redazione)

Bologna, 2 settembre 2015 - Il capo chino, la schiena leggermente incurvata, gli occhi vivacissimi dietro le lenti. E poi quel sorriso appena accennato di chi ha visto tanta vita e ne ha fatto tesoro. Questo era Dino Biondi per me, giovane giornalista del Carlino: un maestro senza prosopopea, un uomo semplice e schivo, sempre pronto a regalarti una scheggia del suo sapere, della sua esperienza costruita in mezzo secolo di giornalismo. La sua era una presenza in punta di piedi in redazione, quasi un volitare leggero sopra le piccole vicende umane del giornale.

E pensare che il giovane Dino da Dozza Imolese, terra di frontiera fra Bologna e la Romagna, aveva carattere fiero e forte e la voglia di mettersi in  mostra di tanti giovani forgiatisi nel tempo della guerra. Nato nel 1927, aveva compiuto gli studi classici in un collegio di seminaristi. Poi l'approdo a Bologna, al Resto del Carlino, come giovanissimo correttore di bozze. I suoi interventi erano così precisi e puntuali che spesso quei pezzi finivano in tipografia più belli e puliti degli originali.

Così in poco tempo Biondi passò dall'ufficio dei correttori alla redazione, anticipando un cammino che tanti prestigiosi giornalisti avrebbero poi compiuto negli anni a venire. In una redazione dove campeggiavano i nomi di Luca Goldoni, Metello Cesarini e Gianni Castellano crebbero il talento e le qualità del giovane Dino, fino  a meritargli il ruolo di inviato di attualità. In parallelo alla carriera di giornalista Biondi riuscì a coltivare quella di scrittore.

Appassionato di ricerche storiche, vero testimone del tempo come richiede il ruolo di cronista, catturò il successo nazionale e internazionale con il libro ''La fabbrica del Duce''. Costruito con il rigore dello studioso e scritto con la verve del giornalista, il volume raccontava il mito di Mussolini dall'alba al tramonto. Con amara ironia, Biondi faceva rivivere il clima del ventennio, definendo il Duce come l'insostituibile riempitivo del vuoto fascista, il protagonista perfetto di un'epoca che sognava di crearsi ideali. La rievocazione del Credo in chiave fascista, dove il nome di Mussolini sostituiva quello di Dio, diventa l'emblema del libro. 

La carriera di Biondi non si ferma qui perché nel 1968 il direttore Spadolini gli chiede di diventare corrispondente da Parigi. E Dino, con la sua penna nitida e imparziale, racconterà le emozioni e le paure del maggio francese e la portata rivoluzionaria dei moti studenteschi di quegli anni. Ma nuova sfide lo attendono nella sua Italia. Al ritorno da Parigi diventa direttore del Giornale d'Italia, dove guida una rivoluzione tecnologica che modernizza il quotidiano e poi, dal 1971 al 1975, passa a dirigere Stadio, il giornale sportivo del gruppo, fondato nel dopoguerra. Succede a Luigi Chierici e dichiara la sua passione di sportivo innamorato del ciclismo e del calcio, coltivata in anni giovanili. Sotto la sua guida Stadio cresce ancora e dà spazio a un gruppo di storiche firme: Turrini, Bortolotti, Biagi, Ronchi, Mioli.

Questa volta è proprio Biondi ad alzare la mano e a chiedere la staffetta. Vuole tornare al suo amato mestiere di cronista perché il ruolo di direttore è sempre più vicino a quello di un manager. E così rieccolo nel suo Carlino a scrivere e collaborare fino agli anni Novanta. Con una perla speciale regalata ai lettori e a tutti noi della grande famiglia della Poligrafici: il libro sui cent'anni del Carlino, una prodigiosa e puntuale sintesi di un secolo di storia del giornale: dal 1885 al 1985. Un atto d'amore verso il mestiere, la storia, la vita stessa dei nostri territori.  

Addio Dino con i tuoi occhialetti da professore mite, con quel sorriso a volte malinconico ma sempre partecipe delle gioie e dei dolori altrui. Ci hai insegnato il rigore, la misura e il pudore. Pochi maestri sono stati alla tua altezza.

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