Bologna: Donadoni, cento giorni al massimo

Ha cambiato volto a un gruppo intimorito, che ora affronta le grandi senza paura

Roberto Donadoni, alla prima stagione in rossoblù

Roberto Donadoni, alla prima stagione in rossoblù

Bologna, 8 febbraio 2016 – Quando il 29 ottobre, alla sua presentazione ufficiale, accarezzandosi il boccolo argenteo nella sala stampa del Dall’Ara si lasciò sfuggire un furtivo «mi piacerebbe che da qui a maggio non si parlasse solo di salvezza», tra i giornalisti in platea ci fu anche chi si diede di gomito (e forse sobbalzò anche Corvino, che apparentemente imperturbabile gli sedeva a fianco). Della serie: ma questo ha capito in che razza di ginepraio si è infilato accettando di accollarsi il peso di una situazione così complicata?

Cento giorni dopo si può tranquillamente convenirne: Roberto Donadoni aveva capito tutto. Aveva capito che dietro la maschera di un gruppo in panne c’erano potenzialità inespresse e, in quei giorni drammatici, inimmaginabili. Aveva capito che sarebbe bastato correggere lo schizzo con due tratti di matita (primo scarabocchio geniale, Rossettini dirottato a terzino destro e Masina trasformato in esterno con licenza di attaccare: era l’1 novembre, intervallo di Bologna-Atalanta, il suo debutto in panchina) perché i conti cominciassero a tornare. Aveva capito che un bravo allenatore è innanzitutto un efficace motivatore e che toccando le corde giuste un brutto anatroccolo può tramutarsi in cigno.

E aveva capito, infine, che quei 6 punti dopo 10 giornate, con annesso terzultimo posto ed inevitabile esonero di Rossi, erano il pesante dazio che avrebbe rischiato di pagare una squadra ricostruita dal nulla, infarcita di giovani e completata solo alle ultime curve del mercato. Oggi che i punti sono 30 e il Bologna è decimo, ancorché in coabitazione (e dunque basculante tra le due colonne della classifica), non resta che togliersi il cappello davanti all’uomo di Cisano Bergamasco che in cento giorni ha scritto una storia di segno opposto rispetto a quella che aveva vergato, con mano incerta, il suo predecessore. Anche tralasciando ingenerosi confronti con la gestione Rossi, salta agli occhi che il Bologna a marchio Donadoni è una squadra che, da quando ha capito che attaccare è il miglior modo per difendersi, non si pone limiti nemmeno di fronte a un Everest da scalare.

Certo, cominciare col piede giusto aiuta: le vittorie nette strappate al pronti via ai danni di Atalanta (3-0 al Dall’Ara) e Verona (2-0 al Bentegodi) hanno puntellato il gruppo di autostima. Poi è arrivato la Roma e nell’acquitrino del Dall’Ara, sotto gli occhi di Saputo, il Bologna ha scoperto di poter mettere paura anche a una grande, inchiodata in rimonta sul 2-2. Insieme alle certezze sono arrivati i primi gol di Destro e Giaccherini, invisibili nella gestione Rossi.

Non è un caso che Donadoni oggi continui a pungolare pubblicamente entrambi: sa che se girano quei due, a traino gira tutta la squadra. Il ko di Torino del 28 novembre avrebbe potuto incrinare le certezze, ma così non è stato.

Nel dubbio, lontano dal Dall’Ara, ha fatto seguito un filotto di tre vittorie (con Genoa, Milan e Sassuolo) interrotto solo dallo scivolone di Frosinone, agevolato da un turnover che, col senno di poi, si è rivelato fin troppo spinto. Nei cento giorni di campionato che restano da giocare non sarà complicato incamerare i 7-8 punti che separano i rossoblù dalla salvezza aritmetica. Se poi fossero sfavillanti come i primi cento giorni di Donadoni, sai che goduria.

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