Donna morì per setticemia, "Condannate tre medici"

Successe all'ospedale Maggiore, il pm ha chiesto un anno e sei mesi

Una sala operatoria (foto di repertorio)

Una sala operatoria (foto di repertorio)

Bologna, 24 febbraio 2015 - Un anno e sei mesi. E’ la condanna che il pm Rossella Poggioli ha chiesto per l’ex primario di Gastroenterologia del Maggiore, Nicola D’Imperio, per il chirurgo Paola Billi e per il medico di turno Angela Alberani, accusati di omicidio colposo per la morte di Loredana Mainetti, l’infermiera 59enne di Borgo Tossignano deceduta per setticemia il 25 settembre 2010, tre giorni dopo essere stata operata per asportare un polipo duodenale. E’ stata invece chiesta l’assoluzione per il quarto imputato, il medico della Gastroenterologia Carmelo Luigiano, presente in reparto il giorno dell’intervento pur non essendo di turno. 

Ieri in tribunale, davanti al giudice monocratico Paola Palladino, è dunque andata in scena la requisitoria del pm Poggioli, secondo i cui responsabili del decesso sono senza dubbio la Billi, esecutrice materiale dell’operazione, l’allora primario D’Imperio, oggi libero professionista dopo l’addio al Maggiore, e il medico di turno.  Per l’accusa, ci furono negligenze e omissioni da parte dei medici perché, in primis, fu perforato il duodeno durante l’asportazione del polipo, e poi, una volta terminato l’intervento, non fu attuata un’adeguata assistenza della paziente per individuare e curare la sespi risultata fatale. Questo almeno hanno stabilito i consulenti del pubblico ministero. 

La Mainetti, dipendente della stessa Ausl, si era affidata con fiducia ai camici bianchi del Maggiore e morì dopo atroci sofferenze. I familiari, che non sono parte civile nel processo perché sono stati risarciti dall’Ausl con un milione di euro, denunciarono fin da subito che la donna, appena uscita dalla sala operatoria, aveva avvertito forti dolori che avrebbero dovuto far scattare un campanello d’allarme.  Dopo la requisitoria del pm il processo è stato rinviato al 16 marzo, quando parleranno le difese. Gli avvocati sono pronti a dar battaglia, partendo dalla consulenza disposta dallo stesso giudice Palladino, favorevole agli imputati.

Secondo gli esperti nominati dal tribunale, infatti, la morte fu certamente causata dallo choc settico dovuto alla perforazione del duodeno, ma «in mancanza di un accertamento radiologico non è possibile stabilire con certezza quale sia il momento in cui si sia verificata la perforazione». Le radiografie non furono fatte, e questo fu un errore, per i consulenti, secondo i quali «dato il sospetto clinico, l’accertamento avrebbe potuto evidenziare le perforazioni se già presenti». Detto ciò, però, considerando la rapidità della sepsi, «anche un intervento più precoce avrebbe avuto scarse possibilità di modificare il decorso ed evitare il decesso». In altre parole, anche un intervento tempestivo sarebbe stato probabilmente inutile, vista la rapidità della setticemia. Proprio su questa consulenza punteranno i difensori per far assolvere i medici. Paola Billi, assistita dall’avvocato Giuseppe Coliva, si era difesa in aula: «Io non ho commesso errori durante l’operazione, la perforazione è una complicanza prevedibile e prevista dalla letteratura medica». D’Imperio, difeso da Nicola Mazzacuva, ha sempre sostenuto di non essere stato neppure in reparto al momento dell’operazione, ma di esserci andato solo dopo per un controllo. Quindi, a lui non si può contestare nulla. 

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