Bologna, 19 febbraio 2013 - Per Paolo Castelli, come per molti imprenditori di seconda o terza generazione, il problema da risolvere, affacciandosi al mondo del lavoro era semplice: come emanciparsi dalla famiglia d’origine. Penultimo di sette figli, chiamato scherzosamente Paolo Sesto tra le mura di casa, appena laureato in Scienze Politiche, nel ’94, viene spedito a occuparsi di una delle aziende di famiglia, la Modular, che produce tendaggi, perdendo molti più soldi di quanti ne fattura. In pochi anni Castelli la rivolta come un calzino, la associa a un’altra azienda, la Domodinamica, specializzata in arredi e design. Fino a comprarsela tutta, nel 2009, quando ha raggiunto i sei milioni di euro di fatturato, trasformandola in Paolo Castelli spa.


Quando ha iniziato a vincere la sua scommessa?
"Quando ho acquisito Domodinamica. Era sull’orlo del fallimento ma aveva un buon marchio".
 

A cosa le è servita?
"A entrare nella più grande fiera del mondo di arredo, il Salone del Mobile di Milano, e contattare grandi architetti, che poi sono quelli che determinano le forniture importanti".
 

Occuparsi di tendaggi non era abbastanza?
"In famiglia ho sempre mangiato pane e design. Una delle sedie prodotte da mio padre Leonida, la Plia, è al Moma di New York".
 

Ma lei non era né un designer né un architetto.
"Ho sempre disegnato. E qualche pezzo della nostra collezione, come la libreria Autum, l’ho progettata personalmente. L’hanno presa alla Triennale di Milano, il museo del design".
 

Una bella soddisfazione.
"Sì. Anche se noi non ci limitiamo a disegnare arredi. Siamo un’azienda di servizio che lavora come general contractor".
 

Urge traduzione.
"Partecipiamo ad appalti per rifare interi ambienti, dalla muratura all’arredo. Ne abbiamo appena vinto uno per il Casinò di Saint Vincent. Siamo arrivati primi su 34 aziende in gara"
 

Dove trovate le competenze che vi servono?
"Se piantiamo un compasso dove si trova la nostra sede, a Osteria Grande, nel giro di dieci chilometri troviamo tutti gli artigiani necessari".
 

Chi c’è tra i suoi clienti?
"Lenovo, Alitalia, Hera, Sab, World Food Program, Poste, Intesa, Deutsche Bank, Ferrari, Mambo, Museo Morandi e tanti altri".
 

Quindi va tutto a meraviglia.
"Tra un po’ cambieremo sede e ci trasferiremo a Ozzano. L’azienda funziona e facciamo il mestiere più bello del mondo, ma si lavora sul filo".
 

In che senso?
"Nel nostro settore, se partecipi a un appalto pubblico, devi fornire garanzie finanziarie. E stare molto attento a scegliere i fornitori".
 

Perché?
"I contratti pongono limiti di tempo da rispettare. In più, appena versi a un fornitore l’anticipo del trenta per cento, sei tenuto a saldarlo entro il tempo giusto, altrimenti il cliente paga direttamente lui e non te finché le cose non sono definite".
 

E’ un invito alla correttezza.
"Certo. Solo che se il fornitore incassa i soldi e non fa il lavoro, magari perché ti ha nascosto le sue difficoltà finanziarie, nei guai col cliente ci finiamo noi"
 

E come si evita tutto ciò?
"Facendo attenzione anche alla salute finanziaria dei nostri artigiani".

Marco Girella