Bambini dimenticati in auto, da Bologna il salvavita. “Boom di vendite”

Michele Servalli, inventore di Remmy: “Eguagliati negli ultimi cinque giorni gli ordini di tutto l’anno scorso”

Bologna: Carlo Donati e Michele Servalli, gli inventori di Remmy

Bologna: Carlo Donati e Michele Servalli, gli inventori di Remmy

Bologna, 14 giugno 2017 – “Capita a tutti noi quotidianamente di non ricordare dove abbiamo messo il cellulare o le chiavi della macchina, di pensare che sono in un posto e invece sono in un altro; può capitare anche con un bimbo”. È molto serio Michele Servalli quando pronuncia queste parole. Nel 2013 insieme a Carlo Donati ha lanciato sul mercato un prodotto che promette di salvare la vita ai bambini dimenticati in auto. Si tratta di un sensore grande grossomodo come un telefonino, il cui nome richiama la parola inglese ‘remind’, che significa ricordare. Ma Remmy è nato a Bologna, costa 60 euro, ed è già stato installato su migliaia di vetture. Le sue vendite sono impennate nei giorni successivi alla tragedia di Arezzo, dove la settimana scorsa una bimba è morta dopo essere stata lasciata dalla madre nell’abitacolo. Servalli, come funziona Remmy? “È un sensore di pressione che va sistemato sotto la fodera del seggiolino e collegato con un cavo all’accendisigari. Ci avverte con un segnale sonoro in due casi: se il bimbo non è bloccato bene e quindi si muove, e quando si spegne il motore, per ricordarci che a bordo c’è un bambino. Quest’ultimo è il motivo principale per cui è stato progettato”. Com’è nata l’idea? “L’idea è venuta a me e al mio socio Carlo Donati in due momenti diversi, a distanza di cinque anni. A me nel 2008, mentre ero in auto con la mia bimba, che all’epoca aveva tre anni. Sentendo alla radio il caso della bambina di Lecco, morta dopo essere stata dimenticata in macchina dalla madre, pensai: ‘Ma come è possibile? A me non capiterà mai’. Nel 2013, quando una tragedia analoga successe a Piacenza, il mio collega Carlo, anche lui papà, ebbe la stessa idea e mi disse: ‘Michele, hai visto quello che è successo?’. Così ci siamo detti di non restare con le mani in mano e in cinque mesi abbiamo fatto partire la startup”. Quanti prodotti avete venduto? “Migliaia”. Le vendite aumentano subito dopo fatti di cronaca come quello accaduto la settimana scorsa ad Arezzo? “Purtroppo sì, ogni volta che muore un bimbo c’è un picco di vendite. Pensi che dopo il caso di Arezzo in cinque giorni abbiamo venduto come in tutto lo scorso anno. Solo oggi abbiamo effettuato 120 spedizioni e per noi che siamo una startup non è semplice, non siamo ancora così strutturati”. Ci si sveglia solo quando accadono le tragedie? “È così, il pensiero di tutti è ‘a me non capiterà mai’. Eppure quest’anno sono già dodici i casi nel mondo. L’anno scorso sono morti circa 90 bimbi in tutto il pianeta. I black-out, le amnesie temporanee, sono un fenomeno quotidiano. Tutti noi dimentichiamo dove abbiamo lasciato il cellulare, le chiavi dell’auto o quelle di casa. Pensiamo di averli messi in un posto e invece sono in un altro. Può accadere anche con un bambino. E se accade al bivio tra l’ufficio e l’asilo, si rischia la tragedia”.  

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