Bologna, Fiera, a rischio la poltrona di Boni. Ora il Comune punta su Calzolari

Sembra saltato l’accordo per la conferma del presidente

TECNICO Franco Boni, 78 anni, già presidente per tre mandati dell’expo di Parma, è al timone di BolognaFiere da marzo 2016

TECNICO Franco Boni, 78 anni, già presidente per tre mandati dell’expo di Parma, è al timone di BolognaFiere da marzo 2016

Bologna, 14 giugno 2017 - Vento in poppa e barra dritta in mare aperto, tempesta perfetta tra le mura di casa. È la fotografia di BolognaFiere in questi ultimi sei mesi, in cui ai successi del Cosmoprof (che moltiplica le sue produzioni nel mondo), del Children’s Book Fair (che sbarcherà per la prima volta a New York) e dei bilanci che tornano a sorridere, continua ad accompagnarsi uno stallo societario in cui nessuno è ancora capace di trovare una quadra. Tanto più che l’unico punto che fino a ieri sembrava fermo, il rinnovo alla presidenza di Franco Boni dopo l’endorsement del presidente della Camera di Commercio, del sindaco Virginio Merola, e di qualche privato, nei giorni scorsi pare essere saltato di nuovo. Riportando in pista Gianpiero Calzolari presidente di Granarolo e già vicepresidente in via Michelino, e scatenando l’ira funesta di chi aveva puntato su un rinnovo di Boni e lo stupore di chi, perlomeno quel nodo, sperava di averlo sbrogliato. A scaricare Boni, in scadenza, sarebbe stato Merola, di persona, il giorno prima del Cda di lunedì scorso.

Poche parole, ma franche: ti stimiamo, ma cambiamo cavallo, puntiamo su Calzolari. Il motivo: un tentativo di ricucire in extremis i rapporti tesi con i soci privati, che premono per il cambio di statuto, recalcitrano sulla svolta ‘pubblicistica’ della Fiera, sperano nella riapertura dei termini dell’aumento di capitale per riequilibrare le percentuali e, soprattutto, premono per riconsiderare il conferimento di Palazzo degli Affari dalla Mercanzia e del Palacongressi dal Comune.

Calzolari? Fin dall’inizio non nega e non smentisce. Il suo nome, poi, da sempre ottiene il nulla osta o perlomeno l’indifferenza dei privati, che in lui vedono, sì, un uomo vicino a Comune e Regione, ma anche un manager alla guida di una cooperativa che, nei fatti, è una multinazionale. Da qui la mossa del cavallo, l’ennesima, di Merola. Smentita da Boni («con il sindaco abbiamo avuto nei giorni scorsi molti incontri e mai si è accennato al mio futuro»), ma confermata da più fonti, comprese le indiscrezioni a margine dell’ultimo Cda. Nulla si è deciso, in quell’occasione. E nulla cambia per molti privati, che in questa operazione vedono l’ennesimo colpo di mano dei pubblici. La partita è spostata all’Assemblea del 29 giugno. Dove si approverà il bilancio e, tecnicamente, si dovrà arrivare con un tentativo di mediazione. La lista di priorità dei privati è la solita: prima c’è lo statuto da rifare, poi la decisione sulla riapertura dell’aumento di capitale, infine, ultimo ma non per importanza, la definizione del nuovo Cda. Che oltre al presidente indicherà il numero e i nomi dei consiglieri. Con varie ipotesi sul tappeto. Quella licenziata dai privati, prima del colpo di scena sui conferimenti, prevedeva tre membri ai pubblici e quattro ai privati, ripartiti tra industriali, cooperatori, commercianti e Fondazione. Ma c’è un’ipotesi che tira in ballo la riforma Madia, e che vedrebbe i soci pubblici salire a 5. E qui la situazione si complica.

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