E Pasolini gridò: “Gesù Cristo è a casa mia!“

Enrique Irazoqui ricorda il Vangelo secondo Matteo' che stasera è al Lumière

Irazoqui e Pasolini sul set del Vangelo secondo Matteo

Irazoqui e Pasolini sul set del Vangelo secondo Matteo

Bologna, 4 ottobre 2014 - «Ho trovato Gesù Cristo! Gesù Cristo è a casa mia!. Da una parte del telefono c'era Ninetto Davoli. Dall'altra un esultante Pier Paolo Pasolini, che non aveva mai visto Enrique Irazoqui. Cercava un volto per il suo Vangelo secondo Matteo e all'improvviso l'aveva trovato in un ragazzo di 19 anni, spagnolo, del sindacato clandestino anti-franchista. «Ero lì per caso racconta Irazoqui ridendo -. Mi accompagnava un giovane del Pci. Cercavo personalità italiane da portare nel mio Paese, per parlare in quelle piccole oasi libere che erano le università. Non avevo la più pallida idea di chi fosse Pasolini».

Certi sodalizi artistici nascono così, al buio. La luce del film brilla però ancora a distanza di 50 anni, e la Cineteca di Bologna per l'occasione lo proietterà alle 21.30 di stasera al Lumière in presenza di Roberto Chiesi, responsabile dell'Archivio Pasolini della stessa Cineteca. Mancherà invece proprio Irazoqui, che ci tiene a fare una dedica anche a distanza: «Purtroppo ho avuto un contrattempo e non posso partecipare spiega al telefono. Desidero però dedicare la proiezione di Bologna al mio amico Loris Lepri».

Chi è 50 anni dopo Enrique Irazoqui? «Una persona tranquilla che vive a Cadaqués, in Spagna. Da due anni non sono più professore di letteratura spagnola, ho insegnato nel New Hamsphire, in Messico e anche nel mio Paese. Mi riposo». Non gioca più nemmeno a scacchi? Lei è stato un campione, ha battuto anche Marcel Duchamp. «Ho 70 anni, sono troppo vecchio ora. Agli scacchi ho dedicato tanto tempo. Dal 1979 al 2005 ho provato, assieme ad altri ricercatori universitari, a creare dei programmi che applicassero i meccanismi degli scacchi ad altri ambiti. Dopo tanti tentativi abbiamo gettato la spugna: l'intelligenza artificiale non esiste, nessun programma al mondo riesce ad assimilare una cosa così». Però ancora oggi il miglior computer esistente gioca meglio del campione del mondo di scacchi. «Assolutamente sì. Ma niente a che vedere con le sfide che facevamo a Cadaqués negli anni 60». Un esempio? «Duchamp era stato nazionale francese di scacchi e con me perdeva. Giocavamo tutte le sere alle 18, nel 1968. La moglie veniva da me cinque minuti prima della partita per dirmi: Non giocare contro di lui ancora'. Io chiedevo perché. Lei mi rispondeva: Altrimenti stanotte non dorme'». Scacchista, attore, professore: qual è il vero Enrique Irazoqui? «Tutti e tre. Per me è stato sempre importante vivere. E basta, facendo quello che mi piaceva. Sicuramente la cosa più casuale è stata l'attore. Non rivedo mai i miei film (4 in tutto, ndr). Non sopporto la mia faccia. Quando mi invitano alle proiezioni del Vangelo entro negli ultimi 10 minuti». Quanto le è restato addosso interpretare Gesù? «Zero. Avrei potuto fare anche il pistolero, non sarebbe cambiato nulla. Mi sono restate addosso invece la scoperta della vita e la libertà. Per un ragazzo della mia età arrivare a Roma in quel periodo era il massimo. Elsa Morante mi aiutò molto. Ero legato anche a Natalia Ginzburg e a Moravia. C'era un fervore culturale bellissimo». E il rapporto con Pasolini? «Parlavamo in continuazione, tutto il giorno. Io non avevo alcuna consapevolezza, lui era una grande guida. Poi nei momenti morti giocavamo a calcio con tutta la troupe. Per non parlare poi di cosa succedeva mentre giravamo...». Problemi sul set? «Ma no. Parlo delle persone che mi fermavano a Barletta o a Matera. Volevano che facessi loro un miracolo. Mi guardavano come se fossi davvero Gesù Cristo. Poi la sera mi fermavano quando mi vedevano con la sigaretta in bocca: Cristo non fuma!'. Si arrabbiavano parecchio». Gesù Cristo contro Pasolini a scacchi: chi vinceva? «Pier Paolo non voleva giocare mai con me. Aveva la certezza di perdere».

di Paolo Rosato

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