Edoardo Corvinelli a Firenze (foto Germogli)
Bologna, 17 settembre 2017 - Quando ieri pomeriggio ha visto in lontananza la sagoma dello stadio Franchi, Edo ha capito di avercela fatta. Con i piedi gonfi, qualche vescica, la barba sfatta di quattro giorni, ma negli occhi il segno dell’impresa, portata a termine, con la maglia rossoblù sempre incollata sulle spalle, insieme al cartografo Pierpaolo Dondi e a colui che ha immortalato l’evento, il regista Walter Ciusa (VIDEO).
Corvinelli, il primo pensiero?
«In realtà di pensieri ne ho due: è stata un’esperienza bellissima, ma so già che non avrò mai più la forza fisica per rifarlo».
Stremato dai centoventi chilometri di saliscendi sull’Appennino?
«Sono sincero: non so come sono riuscito a farcela. Oppure sì, lo so: credo che Schiavio da Lassù mi abbia dato una mano. Specie quando ci siamo trovati in mezzo al bosco sotto un uragano d’acqua e ci siamo calati giù con la corda, in perfetto stile ferrata. L’ho raccontato a una guida del Cai e mi ha detto che lì abbiamo davvero rischiato grosso».
Guardi che la via degli Dei sono in tanti a percorrerla.
«Sì, ma io non ho mai fatto trekking in vita mia. Mi allenavo da un mese, ma non so se avrei retto, diciamo così, alla prova del campo».
Che cosa le resta di questa esperienza?
«Il senso di vicinanza che mi hanno trasmesso le tante persone che ho incontrato lungo il tragitto. Molti sapevano del mio passaggio e mi aspettavano al varco. E tutti mi chiedevano: ma perché lo fai?».
E la sua risposta?
«Per mio nonno Edoardo e per mio zio Renato, che lo fecero novant’anni fa. E per il Bologna, che seguo da trent’anni in trasferta. E’ in fondo la mia è stata solo una trasferta in più, anche se un po’ speciale».
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