Il mistero della fede scomparsa in ospedale

Donna muore al Maggiore. La figlia: "L'anello non c'è più"

Un corridoio dell'ospedale Maggiore

Un corridoio dell'ospedale Maggiore

Bologna, 3 settembre 2015 - «Quanto valeva quella fede? Al massimo un centinaio d’euro. Ma per me e mio padre era inestimabile». Elisa Barasciutti ha perso la mamma Luigina appena un mese fa. In due giorni un’emorragia cerebrale se l’è portata via, a 67 anni. Un vuoto che solo una figlia può capire e una perdita improvvisa, che non lascia neanche il tempo di pensare, quando l’urgenza è quella di occuparsi delle cose pratiche, di organizzare un funerale, badare a un papà che ora è solo e non sta bene di salute.

E in questi attimi concitati di dolore l’anello nuziale che al momento della morte la mamma portava al dito passa in secondo piano. Non ci si ricorda subito di andarlo a prendere in ospedale. E, quando il particolare torna alla memoria, l’anello è scomparso. «Perso, forse rubato, chissà», racconta sconsolata e arrabbiata Elisa.

«Mia madre era ricoverata al reparto di Medicina d’urgenza del Maggiore – spiega la donna –. La sera del 2 agosto mi hanno chiamato dall’ospedale per dirmi che era morta. Io ero a Lagaro con mio padre e non riuscivo a scendere in città durante la notte. Mia madre sarebbe stata trasportata all’obitorio dove la mattina dopo ci saremmo dovuti occupare di tutte le tristi incombenze che accompagnano questi momenti. La dottoressa di turno che mi aveva telefonato, a quel punto, mi ha detto che la mamma aveva ancora al dito la fede nuziale. Dimostrando gentilezza e tatto, mi ha chiesto se volevo che la sfilasse per conservarla nella cassetta di sicurezza del reparto, in attesa del nostro arrivo. E così è stato. Peccato che però, una settimana dopo, quando sono tornata al Maggiore proprio prendere l’anello, questo era scomparso. La caposala lo ha cercato ovunque. Poi, mi ha detto che era inutile aspettare e che, se fosse saltato fuori mi avrebbero chiamato».

Passa un’altra settimana e la chiamata non arriva. «Alla fine ho telefonato io in ospedale e ancora nulla – continua Elisa –. Poi, un paio di giorni dopo questa chiamata, sono stata contattata di nuovo. Nessuna buona notizia però. La fede si era come volatilizzata. Mi sono arrabbiata, ma ho scelto di non sporgere denuncia. È vero che il valore economico dell’anello era abbastanza basso, ma per me e mio padre era un ricordo importante, che avremmo voluto conservare. Non è stato possibile e questo mi dispiace molto, anzi, mi fa proprio arrabbiare. Ho voluto raccontare questa storia – conclude la donna – perché non vorrei che altri si trovassero in una simile, triste, condizione. Basterebbe un po’ di attenzione in più».

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