Le politiche per la cultura siano anche politiche economiche

Il commento di Mauro Felicori, dirigente Dipartimento Economia e promozione della città del Comune di Bologna, al programma elettorale di Stefano Bonaccini

Mauro Felicori

Mauro Felicori

Bologna, 24 ottobre 2014 - Qualcuno potrà stupirsi, perchè le mie posizioni in materia di politica per la cultura sono spesso polemiche e talvolta provocatorie, ma devo dire che il programma di Stefano Bonaccini, per la parte che riguarda la cultura (che ha il titolo alla moda di "bellezza") mi è piaciuto. Fin dalle prime righe si sente un approccio nuovo (per la politica, ovviamente): il patrimonio storico-artistico definito come filiera produttiva, l'abbondanza di cifre sulle imprese culturali, gli addetti, il peso economico della cultura nell’economia regionale e nazionale.

Sono due i punti che colpiscono. Il primo: "L’impegno della nuova Regione sarà quello di investire nella cultura come un diritto di tutti, un servizio diffuso e accessibile a tutta la popolazione, rimuovendo gli ostacoli di natura economica e di origine geografica che non consentono il pieno accesso alla vita culturale....La cultura rappresenta una componente imprescindibile del welfare".

Se Bonaccini fa sul serio, sarà una rivoluzione dello stesso peso di quella che a cavallo fra gli anni '70 e gli '80 ha generato il consumo culturale di massa, gli assessori applauditi, il peso crescente della spesa culturale delle istituzioni pubbliche. Ma Bonaccini saprà anche bene che questo processo, mentre ha largamente coinvolto la gioventù scolarizzata e le middle classurbane, ha lasciato fuori la maggioranza della popolazione, quella meno ricca e meno istruita, per non parlare del nuovo proletariato delle famiglie immigrate, che non sono in nessun modo al centro di alcuna politica culturale; mentre nuove forme di elitismo snob crescono pur all'interno di ambienti generosamente sostenuti da danari pubblici. E che dunque occorrerà una forte dialettica politica con l'establishment culturale, ancorché tutto di sinistra, per affermare questa novità (e del resto da Nicolini in poi tutti gli assessori alla cultura che fecero la rivoluzione dell'effimero ebbero un forte frizione con i notabili che difendevano la cultura per pochi).

Il secondo: "L'industria creativa è sviluppo e lavoro del futuro su cui l’Emilia-Romagna può e deve investire e puntare, con una nuova legge regionale che promuova e razionalizzi ciò che abbiamo...Lavoriamo perché l’Emilia-Romagna sia al centro della produzione culturale del nostro tempo".

Se Bonaccini fa sul serio, sarà un'altra rivoluzione. Le politiche per la cultura degli ultimi trent'anni hanno privilegiato il consumo culturale piuttosto che la produzione: più consenso, più immediato, meno rischi. Del resto Bonaccini si accinge a governare una regione che da sempre ha una agenzia per comprare spettacoli ma non ne ha ancora nemmeno immaginata una per aiutare gli artisti dell'Emilia-Romagna a proporsi all'estero; che solo ha da poche settimane una film commission mentre ne occorrerebbe una, dicommission, per ogni filiera del'economia creativa: il design, la musica, la moda, la musica, la gastronomia, l'audiovisuale, il digitale applicato alle arti, la letteratura, l'artigianato artistico, il restauro, per portarle all'eccellenza ed aprire una grande stagione di export delle arti, nella quale i nostri creativi si sentano finalmente profeti in patria. Anche in questo caso, Bonaccini lo capirà bene, occorrerà lotta politica e una nuova generazione di operatori culturali, non è che gli interpreti possono essere gli stessi che finora hanno fatto l'opposto.

In ambedue i casi, se Bonaccini fa sul serio non potrà offrire ulteriori risorse al sistema culturale (che pure ovviamente ne ha bisogno) lasciandolo così come è, senza pretendere che questo passi attraverso un rigoroso processo rivolto all'efficenza, alla misurazione dei risultati, ad una moderna cultura manageriale e ad una impegnativa conversione verso gli obiettivi indicati, e cioè verso politiche per la cultura che siano anche politiche economiche.

Vedremo.

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