Bologna, la Fabbrica Italiana Contadina apre le sue porte al mondo

Il tempio del mangiare sano diventa il mercato del gusto

L’interno di Fico (foto Schicchi)

L’interno di Fico (foto Schicchi)

Bologna, 8 novembre 2017 - Immaginiamo un giapponese, di quelli che, da decenni, vengono in Italia per fotografare i monumenti, sì, ma soprattutto per mangiare e seguire corsi di cucina. Una dieta così diversa dalla loro, e per questo così amata, quasi venerata. Oppure uno statunitense, con il suo mito per la pizza, per la pasta e per il Parmigiano Reggiano. Basta chiedere a un qualunque ristoratore italiano per scoprire che il piatto preferito dei turisti americani, oltre ai primi, è proprio il formaggio più noto e imitato al mondo. Lo adorano così tanto che, in genere, non sanno aspettare di ordinarlo: in attesa del menù afferrano il grattugiato dalla ciotola, lo sfarinano sul pane e con un po’ d’olio vanno in estasi.

È così: il mondo ama l’Italia, ma soprattutto ama la sua cucina. Lo dimostra quel serpentone colorato di gente in fila da Eataly, uno dei posti più visitati di New York insieme con la Statua della Libertà. Ora, pensiamo a cosa succederebbe a questi milioni di cultori del cibo tricolore in vacanza in Italia, se qualcuno dicesse loro che dalle parti di Bologna (no, non è un salame, come credono molti americani), tra poche settimane aprirà un mega parco agroalimentare che permette di conoscere il cibo italiano, tutto, da nord a sud, dagli antipasti ai dolci, visto sia in orizzontale – in tutta la sua biodiversità – sia in verticale, lungo l’intero suo processo produttivo. Dagli allevamenti di maiali al bancone del salumiere. Dal forcone del campo coltivato alla forchetta del ristorante.

Tutto vero. Perché i numeri di Fico Eataly World (data di apertura 15 novembre, alla presenza del premier Paolo Gentiloni), vale la pena di ricordarli. La Fabbrica Italiana Contadina, avrà 10 ettari di dimensioni, di cui due coltivati con più di duemila cultivar, poi 200 animali nelle stalle, 40 fabbriche di trasformazione del cibo, altrettanti ristoranti, quindi botteghe, spazi per i bimbi, 6 grandi aree didattiche multimediali (fuoco, terra, mare, animali, vino e futuro), un centro congressi da 1.000 persone, un teatro, le aule, gli spazi di ristoro, e tutto il resto. Indotto compreso: un hotel, una fabbrica di calzature artigianali, corner di musei, enti, istituzioni, associazioni, tra cui uno spazio informativo sui 100 Borghi più belli d’Italia e uno sui luoghi italiani dichiarati patrimonio dell’Unesco. L’ultimo arrivo riguarda la Borsa merci: l’ufficio della locale Camera di Commercio dove ogni settimana si decidono i prezzi del grano, dei cereali e di un mucchio di altre materie prime. Anche loro prenderanno casa a Fico.

E poi c’è l’aspetto ludico-turistico. Negozi, ristoranti, giochi interattivi su modello expo, visite guidate integrali, settoriali e personalizzabili, in dozzine di lingue diverse. E biciclette appositamente create dall’Atala per andare in giro all’interno del parco potendo contare su un voluminoso portapacchi per acquistare i prodotti, scopo che nell’economia del progetto non è certo secondario. «Sarà una grande Disneyland del cibo», prometteva già un anno fa Oscar Farinetti, parlando di Fico. Non è certo un caso se il parco agroalimentare porta, tra gli altri, anche lo zampino del fondatore di Eataly, che ne gestisce la parte commerciale con Coop Alleanza 3.0. Insieme, al 50% (ma a sua volta Coop è socia in Eataly), le due società hanno creato Fico Eataly World spa, con a capo Tiziana Primori, per anni alla guida delle iniziative speciali di Coop e già artefice a Bologna di piccole grandi innovazioni come la libreria-bar-ristorante-spaccio alimentare Ambasciatori, o il Mercato di Mezzo: banchi alimentari e take away di qualità nelle storiche viuzze del commercio alimentare al dettaglio, dietro piazza Maggiore.

Anche la proprietà è un ibrido. Di fatto una società pubblico-privata, visto che il parco è gestito da una Sgr al cui interno il Caab (mercato ortofrutticolo di Bologna, socio di maggioranza è il Comune) detiene il controllo, avendo conferito gli immobili. Il resto sono fondi privati, polverizzati in decine di quote versate da attori cittadini e nazionali di vario tipo: banche e fondazioni bancarie, associazioni di categoria, società private e un mucchio di casse previdenziali di ordini professionali, dai medici ai veterinari, dai biologi agli agronomi e perfino agli avvocati. Tutti finanziatori, ed è questo il vero miracolo, del neonato parco e del Nam, la nuova area mercatale sorta subito fuori dai grandi capannoni del Caab in un’area più piccola e logisticamente ottimizzata, per lasciar spazio proprio a Fico.

Che, da par suo, ha anche un’anima scientifica. Una fondazione che coordina la didattica e la divulgazione, con a capo Andrea Segrè, agroeconomista, saggista ed ex preside di Agraria all’Università di Bologna, che sorge giusto di fianco. Da lì al Caab il passo, metaforicamente e in termini di distanza, è davvero breve. Il professore diventa presidente di Caab a luglio 2012, attirato dall’idea di un mercato ancora oggi tra i primi in Italia per qualità dei controlli e per volumi di frutta e verdura movimentati. Ma era comunque troppo poco, visto che circa la metà degli spazi, all’epoca erano inutilizzati. Bisognava inventarsi qualcosa, e subito dopo trovare qualcuno disposto ad attuarla. Così, a tre mesi dall’insediamento, il professore bussò a casa Farinetti con un paio di schizzi in mano. Et voilà, Fico.