Rock, auto e grandi firme: tutte le passioni di Francesco Amante

L’imprenditore racconta la sua vita a 100 all’ora

Francesco Amante ha vinto due campionati italiani GT Sport

Francesco Amante ha vinto due campionati italiani GT Sport

Bologna, 21 dicembre 2014 - IL RITMO del rock suonato da ragazzo alla Sala Sirenella, come spalla dei mitici Judas. E quello dei pistoni nel motore della sua Jaguar E-Type del 1961 lanciata su per i tornanti alla Bologna-San Luca, la ‘piccola Montecarlo’, gara in salita per auto storiche. Per Francesco Amante – classe 1947, imprenditore dalle mille passioni – sempre di musica si tratta.

Fresco di laurea in Economia nel ‘72 («con una delle prime tesi in marketing»), milite assolto, Amante cerca impiego con «un annuncio da mille lire sul Carlino». Vuole affrancarsi dal padre, con cui lavora da quando ha 16 anni. «Avevo da poco abbandonato il sogno di fare musica, ed era tempo di capire cosa sapevo fare da solo».

 

Che cosa suonava?

«Cantavo».

 

Come? Bene, così così?

«Avevo talento. Nel 1966, canto al Festival di Ancona, presentato da Pippo Baudo, e arrivo terzo. Poi, con amici formo un gruppo, allora si diceva complesso, i Barulchi. Rock e Rhythm and Blues».

 

Dove suonavate?

«Al Migliorini, all’Ubersetto, al Luna Rossa. E alla Sala Sirenella, con i Judas, grandi rivali di quei Jaguars, che poi diventeranno i Pooh. Spesso, fra i due gruppi di fans rivali, finiva in rissa».

 

Perché smise con la musica?

«Non davo tanti esami. E i debiti con Vandarini, che vendeva strumenti in via delle Moline, aumentavano. Poi ci si mise anche Maurizio Vandelli».

 

Quello dell’Equipe 84?

«Lui. Lo aspetto per un autografo. Ma ho con me solo gli appunti di Economia. Firma, li guarda. ‘Studi?’. ‘Sì, ma suono anche’. ‘Continua a studiare’».

 

Torniamo alla ricerca del lavoro.

«Ricevetti tante proposte: assicurazioni, banche... Altri tempi. Alla fine, grazie al consiglio di un’amica, scelgo la Ritz, un’azienda di abbigliamento».

 

Un nome importante.

«Voleva dire Clarks, Vuitton, Ballantyne. Ma io non la conoscevo. Feci un colloquio e il commendatore Giorgio Faccioli mi assunse in prova sei mesi».

 

Come andò?

«Feci tutta la trafila, fino a diventare presidente della holding, ad Amsterdam. Introduco marchi come Timberland, Polo Ralph Lauren. Arriviamo a fatturati da 120 milioni di euro».

 

E oggi?

«La mia attività prevalente è in Carthesio, società londinese che si occupa di consulenza imprenditoriale e passaggio generazionale».

 

Riesce a coltivare degli hobby?

«Mi è tornata la passione per l’arte. L’arte contemporanea, specie la transavanguardia. Ho una passione per Mimmo Paladino».

 

È un collezionista?

«Avevo creato, negli anni, una bella collezione. Poi, in un periodo di stanca, ne ho venduta una buona parte all’asta: 130 opere, con Sotheby’s. Ora la passione è tornata».

 

La prima opera acquistata?

«Un viso a quattro colori di Sandro Chia. Bellissimo».

 

Come è nata la passione per i motori?

«Andando a pranzo dai miei, a Loiano, su per la Futa con la mia 500 bianca. Tagliavo le curve, cercavo le traiettorie...».

 

Com’è arrivato alle corse?

«Vedevo che gli altri si divertivano, e ho voluto provare».

 

Con che auto?

«Prima una Austin del 1955, poi un’Alfa 1900 SS Touring del ’56. Poi la Jaguar E-Type del ’61, come quella di Diabolik, con cui ho vinto due campionati italiani».

 

Ha mai corso le Mille Miglia?

«Una sola, nel ’93, con un’AureliaB23. Arrivai undicesimo su 400 piloti».

 

Mai sognato la Formula uno?

«Mai. Conosco i miei limiti: io ‘tiro su’ il piede. La Bologna-San Luca, per esempio, non si vince alle Orfanelle, ma alla terza curva, a sinistra. Lì bisogna ‘tenere giù’, e io non vinco».

 

Ha un luogo del cuore a Bologna?

«Via de’ Pepoli».

 

Perché?

«Perché mi fa sognare la Bologna di quando, da bambino, prendevo il tram in via Murri per andare a scuola alle San Domenico».