Daniele Federico: da Bologna allo spazio per conquistare l’Oscar

La storia del programmatore di software nel team del film ‘Gravity’

Daniele Federico con l’Oscar e il Bafta vinti dalla sua società per ‘Gravity’. A sinistra, Mila Kunis in ‘Jupiter-Il destino dell’universo’, uno dei nuovi film sui quali lavora l’ingegnere bolognese

Daniele Federico con l’Oscar e il Bafta vinti dalla sua società per ‘Gravity’. A sinistra, Mila Kunis in ‘Jupiter-Il destino dell’universo’, uno dei nuovi film sui quali lavora l’ingegnere bolognese

Bologna, 26 novembre 2014  - OGNI tanto avere la testa fra le nuvole non è un male. Diciamo pure in un altro mondo. Di stelle e galassie ne sa qualcosa Daniele Federico, bolognese di nascita, ma volato a Londra nel 2007. C’è anche lui, infatti, dietro a uno degli Oscar vinti quest’anno da Gravity, quello per gli effetti speciali. Che, in un film 3D ambientato nello spazio, non è una cosa da poco. Un lavoro silenzioso quello realizzato da questo ingegnere 32enne, ma fondamentale per raggiungere la preziosa statuetta (e anche il premio britannico Bafta). E dalla sua passione per la fantascienza è saltato fuori pure un romanzo, in rete da poche settimane, Space Runners.

Daniele, ma lei ci è andato alla Notte degli Oscar?

«No, ma la statuetta ce l’hanno portata dopo. Dopotutto eravamo in seicento persone a lavorare al film».

E il suo ruolo in questa macchina enorme?

«Io sono un programmatore e nella società per cui lavoro, la Framestore, sviluppo software».

Vabbè, un cervellone.

«Diciamo che neanche i miei genitori hanno ancora capito bene il mio lavoro. Faccio parte di un gruppo che si chiama core: realizziamo programmi che rendono i dati accessibili a tutti i settori che partecipano alla realizzazione del film. Insomma, siamo un’unità di raccordo fra tutti i dipartimenti coinvolti».

E con gli attori avete avuto contatti?

«Vengono in studio parecchio, soprattutto durante le ultime settimane di registrazione. Il regista Alfonso Cuaron in particolare era molto presente».

Cosa si prova a vincere un Oscar seppur all’interno di una squadra?

«E’ bellissimo. Il lavoro è stato enorme, abbiamo fatto le ore piccole. Ma sai che più di così non potevi fare. Un po’ come vincere la Coppa del Mondo credo».

Torniamo all’inizio. Come arriva al cinema mondiale un ingegnere di Bologna?

«Mi sono laureato alla Triennale di Ingegneria informatica. Ma la passione per il fantasy era iniziata molto tempo prima, da classici come Il Signore degli Anelli. E così sono andato a Roma per le mie prime esperienze col 3D. Sono partito dalle Winx. Ma accumulavo contratti di tre mesi in tre mesi».

Ed ecco la fuga all’estero.

«Sì, sono andato a Londra perché volevo lavorare alle Cronache di Narnia. E ci sono riuscito. Sono rimasto alla Moving Picture Company fino a quando non è arrivata la crisi: alla fine, hanno tagliato pure me. Così sono partito per il Paraguay e poi per l’Australia, dove ho lavorato al film d’animazione Happy Feet. Ma volevo tornare a Londra e così ho fatto nel 2011».

Giusto in tempo per ‘Gravity’.

«Sì, sono stato molto fortunato. Il cinema è veramente un mondo affascinante, anche se il mercato si sta un po’ saturando. Io comunque sono riuscito a raggiungere un tempo indeterminato».

Altri lavori in uscita sul grande schermo?

«Paddington, il film che ha come protagonista un simpatico orsetto digitale (nei cinema a Natale, ndr), e la pellicola Jupiter. Il destino dell’universo un kolossal di fantascienza firmato dai fratelli Wachowski».

In Italia tutto questo sarebbe stato possibile?

«No, ma il nostro Paese ha tantissime potenzialità. Da quando sono all’estero ho sempre incontrato ottimi professionisti. Il problema è la volontà di destinare risorse a progetti di alta qualità e investirli bene. Ma so che un giorno tornerò».

Intanto ha scritto pure un libro.

«Ho iniziato a fare film perché volevo fare cose belle. Trasmettere messaggi. Avevo un fuoco dentro. E così è nato Space Runners ambientato nel 2234. Il racconto è scritto come un copione cinematografico. Al momento l’hanno scaricato in 800, mi piacerebbe arrivare a scrivere una serie. E sto pensando di tradurlo in inglese. Mio fratello, che scrive poesie, mi ha aiutato molto nella stesura».

Tornando alla realtà, ha trovato anche il tempo di sposarsi.

«Ho conosciuto mia moglie a Londra. Devo dire che questa città mi ha dato tutto. Anche se mi manca l’Italia per il cibo e il sole».

E anche il suo Bologna che segue sempre da Londra. Che ne dice di Tacopina?

«E’ un grande. Ma deve cacciare ‘sti soldi».