Giovedì 18 Aprile 2024

Il nuovo non basta

Bologna, 31 gennaio 2015 - Siamo la Bologna del contemporaneo. Lo vuole la politica culturale dell’amministrazione. Lo suggerisce la struttura della città, ancorata a una base di anziani ma dotata di un trampolino verso il futuro costituito dalla popolazione giovanile che la abita, a cominciare dagli universitari fuorisede. Niente grandi eventi. Niente mostre kolossal. Spazio alle culture alternative, alla creatività undergroung, alle sperimentazioni della musica e dell’arte. Starebbe qui, a quanto pare, la sola possibilità di respiro lungo, di visione, di sguardo al passo con i tempi cui la Dotta può misurarsi con l’Europa. E chi non è in sintonia, rischia di essere fuori.

Ma ci sono i dati, che consentono di ragionare senza equivoci sull’efficacia del Modello Bologna. Le cifre relative alle varie sedi dell’Istituzione Bologna Musei – il complesso delle raccolte facenti capo al Comune – per il 2013 e il 2014 ci aiutano a capire ciò che non va celato. Intanto perché segnalano un calo di circa 6000 presenze totali (i 123.282 visitatori del 2009 sono lontani). E poi perché, a fronte di una tenuta (o qualche volta di un incremento) dell’Archeologico, del Museo Medievale, delle Collezioni Comunali d’Arte e del Museo del Patrimonio Industriale, si registra una netta flessione di MAMbo (assunte tutte le cautele sui giorni d’apertura delle mostre temporanee) che, insieme al Museo Morandi incorporato in esso, scende di quasi 14mila unità rispetto al 2013.

C’è da drizzare le antenne. I responsabili del museo di via don Minzoni sono, infatti, gli stessi che stanno ai vertici dell’Istituzione Musei; e poi MAMbo, che pure si chiama museo d’arte moderna, lavora principalmente (e con professionalità), sull’arte contemporanea e sulla sua produzione, notoriamente non ad alta digeribilità per il pubblico meno preparato. E di questo aspirante pubblico, che ne facciamo? Si ritorna così a quel concetto – contemporaneità – su cui vi è ancora molto da fare se, come pare, si vuol tenere questa strada senza la minima deviazione. Si ritorna alla contemporaneità per chiedere e chiedersi se praticarla debba per forza penalizzare i numeri dell’affluenza di pubblico.

Nei musei più ‘difficili’ come nei progetti di Nuova Musica (temo, ahimè, che la cosa riguardi anche il tributo per Luigi Nono), che presentano sale scarsamente (anzi poco poco) affollate in confronto alle serate in cui dominano autori già meglio assimilati dagli appassionati. Il fondamentale Nono, sì, ma accanto a lui in scaletta Schubert e Šostakovič. Dunque, il congegno della Città del Contemporaneo accusa qualche giro a vuoto. In fatto di richiamo di un turismo d’arte che venga da oltre confine. In fatto di apertura, senza cadere nelle grinfie delle agenzie di mostre chiavi-in-mano o finire in intellettualistici circoli chiusi, a pubblici più vasti, sollecitati da avvenimenti che risultino più appetibili per loro. Pier Paolo Calzolari e il Beethoven di Pollini non possono convivere? E Manet e Stockhausen? Guai – è un vecchio tema, sollevato fin dalle avanguardie degli anni ’60 – se le novità fossero novità per pochi. Siamo, se Dio vuole, la città di ArteFiera. Ma siamo anche quella che all’inizio dell’anno scorso, con ‘La ragazza con l’orecchino di perla’ portata da Genus Bononiae a Palazzo Fava, vide qui oltre 300mila persone. Francamente strano che, sempre numeri alla mano, non risulti per quel periodo una variazione all’insù delle visite ai musei comunali. Dal che si deduce che non vi è stato un flusso benefico di gente tra le sede dell’esposizione e le nostre collezioni storiche, Reni, i Carracci, o quelle di MAMbo.

Per affermarsi come Città del Contemporaneo, europea, Bologna esige sofisticate azioni di promozione e scambi non solo verbali tra realtà pubbliche o private, senza illudersi che il nuovo basti da solo a far girare la fama di una città. Non siamo né Kassel né Basilea, finora. Come diceva il buon Sartre: «È vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei».