Il sonno degli editori

Giuseppe Turani

DA TEMPO per la stampa stampata (giornali e riviste) non tira una buona aria. Anzi, è pessima. Si possono citare molti dati, ma la sostanza è chiara. Se teniamo conto dell’intera filiera (carta, inchiostro, tipografie, vendite, eccetera) viene fuori che contro un fatturato complessivo pari a 40 miliardi di euro nel 2000 nel 2014 siamo scesi a poco più di 30. In nemmeno quindici anni è praticamente scomparso un quarto del giro d’affari. Se da questo dato vogliamo passare alla lettura dei giornali, vediamo che dalle indagini più recenti (probabilmente ottimistiche), sono meno di un terzo gli italiani che ogni mattina leggono almeno un quotidiano (media nazionale, i dati per regione è meglio non darli nemmeno). I giornali, insomma, vendono sempre meno. E riescono a trovare sempre meno pubblicità: da qui la crisi anche finanziaria. Sarò pessimista, ma non credo che sia un fenomeno reversibile. La scarsa lettura dei giornali ha molte ragioni. Una è certamente di tipo economico: ci sono in giro meno soldi e la gente cerca di risparmiare. Ma, soprattutto, si sono moltiplicate le fonti di informazione. C’è la tv con i suoi notiziari, ma nel frattempo sono arrivati anche i giornali on line. E i social network, spesso più veloci delle redazioni. 

 

NEI SOCIAL agiscono migliaia di persone (spesso con accesso ad agenzie di stampa): velocissime nell’editare le notizie che via via leggono. Intendiamoci: mediamente l’informazione sui social network spesso è una bolgia infernale. Niente, ovviamente, è verificato, spesso è piena dei famosi «fake» (falsi), persino foto false ci sono. Al punto che esistono addirittura siti che cercano di smascherare le bufale più clamorose. Il risultato finale, comunque, è che la gente ha una quantità enorme di informazioni (vere o false) gratis e in tempo reale: niente può battere questa struttura.

MA ALLORA , i giornali devono scomparire, come qualche esperto profetizza? No. L’informazione che un giornale può dare, verificata e ragionata, vale almeno cento volte quella pasticciata che si trova sui social. E è persino meglio di quella dei telegiornali, dove tutto va liquidato nel giro di pochi secondi: un intero telegiornale «vale» poco più di una sola pagina di quotidiano. Che cosa possono fare i giornali per non scomparire?

Tre cose. Diventare migliori (e questo vale sempre, per qualunque prodotto). Diventare anche on line seriamente (non come semplici estensioni della parte stampata). Ma bisogna anche cercare di spiegare alla gente che l’unico modo per essere decentemente informati è appunto sottoporsi alla fatica di leggere un giornale invece di accontentarsi dei titoli di un notiziario tv o dei brevi flash dei social network. Si può fare?

IN INGHILTERRA un gruppo di editori tra i più importanti si è posto questo problema e ha avviato un’esperienza originale e clamorosa. Si sono consorziati e si sono rivolti a un’agenzia pubblicitaria per fare una vera e propria campagna a favore della lettura e degli inserzionisti pubblicitari un po’ latitanti («Niente funziona meglio delle news» è lo slogan rivolto a questi ultimi). Funzionerà? Bisogna sperarlo. Un’opinione pubblica formata attraverso i titoli dei telegiornali e la bolgia dei social network è una pessima opinione pubblica, un danno per il Paese. Ci si chiede solo come mai da noi in Italia la Fieg, cioè la federazione degli editori di giornali, non batta un colpo né sembri avvertire l’urgenza del momento.

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