Jenufa una di noi

Bologna, 19 aprile 2015 - Ardire si può. A patto di guarnire il piatto fuori ordinanza con una storia che strappa lacrime anche ai cuori di pietra, raccontata da un regista che fa dell’amore per il bello la cifra programmatica della sua arte e affidata musicalmente a chi la sappia padroneggiare con maestria e comune afflato con l’autore. La ‘Jenufa’ nella sua trionfale galoppata d’esordio venerdì al Comunale è il risultato della felice combinazione Janacek-Hermanis-Valcuha che ha saputo battere lo scetticismo dei palati più conservatori e paladini del repertorio classico nel senso più trito del termine (la trilogia verdiana, un Mozart a scelta piuttosto che un Puccini o un Bellini non shakerato da guizzi stravaganti).

La platea della nostra Fondazione lirica, di fatto, non presentava considerevoli new entry, volti nuovi, stranieri rispetto all’establishment degli abbonati al Turno Prima, eppure alla fine lo scrosciare degli applausi e le urla d’approvazione verso l’emozionante mise en place hanno sancito una lapalissiana verità: non è il secolo d’appartenenza e tantomeno la nazionalpopolarità di un titolo a creare audience e gradimento, ma la confezione del prodotto. Il palato del pubblico si educa ai sapori diversi da quelli abituali se il gusto non stride troppo, non rompe la linea gourmande pur nell’evolversi dei linguaggi (in questo caso anche lo scoglio del ceco come veicolo espressivo del melodramma) . Hermanis ha usato a piene mani la videografica ma con una finezza di tocco e di scelte cromatiche e iconografiche da incantare anche l’occhio meno avvezzo. I costumi trasportano a un festival del folclore dell’Est che cattura, inebria per i colori e la fattura di abiti che sembrano usciti da un museo etnografico. E così la sconosciuta Jenufa ha compiuto il miracolo: è diventata subito una di noi.

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