Venerdì 19 Aprile 2024

L'ebbrezza dello sfascio

Andrea Cangini

SOSTENEVA l’arcitaliano Ennio Flaiano che il peggior difetto degli italiani è quello di parlare sempre dei propri difetti. È vero, ma c’è anche di peggio. Di peggio c’è quel sottile piacere che in fondo molti tra noi provano quando vengono criticati in quanto, appunto, italiani. Criticati fin quasi all’irrisione. Scatta allora il gusto, masochista e al tempo stesso narcisista, di vedere confermato nella tesi accusatoria lo stato d’animo di una vita: tutto fa schifo, siamo ingovernati ed evidentemente ingovernabili. Ce lo diciamo da soli e ora che ce lo dice anche la grande stampa straniera siamo persino più soddisfatti. Il New York Times, l’Economist, le Monde: sono tutti lì a scoperchiare il calderone italiano e tutto sommato a scoprire l’acqua calda. Che Roma sia sporca e corrotta noi italiani lo sappiamo da anni. E da anni con un sorriso amaro scagliamo con pollice e medio la sigaretta per terra (per terra, ma lontano da noi) salendo d’un balzo sull’auto parcheggiata in doppia fila, e scuotendo la testa ci diciamo che l’inciviltà ha ormai raggiunto livelli insostenibili. Distogliamo lo sguardo, allora, e continuiamo a peccare.

MA questa volta è un po’ più penoso. Lo sfascio di Roma è metafora dello sfascio d’Italia, e la crisi che colpisce il Partito democratico appare anch’essa figlia di quel sentimento arcitaliano di costante autoflagellazione e di sistematico rifiuto del concetto stesso di leadership. Chiaro che, come capitò prima di lui a Silvio Berlusconi, quando ha promesso di rivoluzionare il Paese trasformandolo in quel che non è e probabilmente non potrà mai essere (un Paese efficiente e meritocratico) Matteo Renzi ha bluffato. O forse s’è illuso. Ha sottovalutato le difficoltà legate alla crisi economica, le resistenze degli apparati pubblici, la natura dei suoi connazionali, la tetragona fermezza dei suoi oppositori interni al Pd. Segare il ramo d’albero su cui si è seduti è infatti da sempre la specialità di molti “compagni”, che in comune con gli “amici” della sinistra ex democristiana hanno un’istintiva insofferenza verso l’idea stessa di Capo. O leader che dir si voglia.

SOTTILE e perverso è dunque il piacere che provano nel minare l’autorevolezza del leader boicottandone con metodo le decisioni. Che sia la riforma dl Senato o quella della Rai, poco importa. L’importante è rendere inefficace ogni scelta, con ciò dimostrando la propria esistenza in vita. Fenomeno inspiegabile in natura come il volo del calabrone, l’Italia si regge infatti sull’impotenza del potere e sul potere di veto delle minoranze. Che di per sé rappresentano il vero ed unico potere. Potere d’interdizione, s’intende. Che ebbrezza lo stallo, la palude, lo sfascio. Ebbrezza ben riassunta dalle parole di quell’ex leader della sinistra che venerdì esultava perché il Financial Times, distogliendo per un attimo lo sguardo dal degrado romano, “autorevolmente” sosteneva che la spinta propulsiva del renzismo si è già bella che esaurita. Il tronco dell’albero è stato ormai in gran parte segato, che gioia cadere assieme!