Il lavoro estivo? Dai latini ai kibbutz lo fanno tutti

Risponde il vice direttore del Resto del Carlino

Bologna, 1 aprile 2015 - MI PERMETTA di condividere il commento di risposta a un lettore che lei ha scritto l’altro giorno intervenendo sulla frase del ministro Poletti a proposito del lavoro estivo dei giovani. Una formazione migliore del lavoro, unitamente alla conoscenza data dallo studio, non la conosco. Con i migliori saluti. Carlo Amagliani

 

Risponde Massimo Gagliardi, vicedirettore de il Resto del Carlino

I LATINI dicevano «mens sana in corpore sano». I benedettini aveva la regola dell’«ora et labora». Mao Zedong dopo la Rivoluzione culturale (1966-1969) inviò più di quattro milioni di studenti nelle campagne a vivere con i contadini e a ‘rieducarsi’. I padri fondatori di Israele inventarono i kibbutzim, che tuttora accolgono studenti tra giugno e settembre. Insomma, la storia dovrebbe pur dirci qualcosa.

Il problema semmai è trovarlo, il lavoro estivo per un figlio. Un ragazzo bianco non lo vuole più nessuno perché i caporali al Sud hanno tanti africani e rumeni a buon mercato. Al Nord il lavoro ‘dichiarato’ frena tutti; al punto che anche la vendemmia ora si fa con le macchine. E quindi? Caro ministro, ci trovi una formuletta contrattuale per far lavorare i nostri figli tre settimane all’anno.

massimo.gagliardi@ilcarlino.net

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