Le lezione americana

Bruno Vespa

MASSIMO si presenta impeccabile nella sua divisa bianca, cappellino e auricolare d’ordinanza. È il manager di spiaggia di un nuovissimo, grande albergo di South Beach a Miami e in un quarto d’ora mi fa capire che la distanza tra questa città e Roma è enormemente superiore agli 8337 chilometri segnalati dalle carte geografiche. Massimo ha 45 anni e non è dunque un giovane ‘cervello in fuga’ né un ragazzino venuto a tentare l’avventura nella metropoli delle tentazioni. Fino a quarant’anni ha lavorato in due aziende significative in Italia, dieci anni in ciascuna, raggiungendo responsabilità manageriali. Poi ha pensato che il futuro ch sognava era altrove e ha accettato l’invito di amici di trasferirsi qui. «Ma non so l’inglese», aveva obiettato, ricordando che la sua area di lavoro era stata sempre l’Italia. «Lo imparerai – gli avevano risposto – a patto che all’inizio accetti di adattarti». Massimo si è adattato e ha cominciato a tagliare mozzarelle in una pizzeria. A quarant’anni. Ha capito subito che la qualità degli italiani «è enormemente superiore alla media di qui» e taglio dopo taglio ha fatto subito carriera.

PRIMA nella pizzeria, poi collaborando all’apertura di uno dei ristoranti più trendy di Miami. Vedendolo muoversi con grande disinvoltura tra i tavoli e dare disposizioni al personale, un ricco cliente venuto da Filadelfia gli ha dato il suo biglietto da visita: «Quando si è stancato di stare qui, mi chiami e l’assumo». Massimo non voleva muoversi da Miami ed è stato assunto da una grossa società che gestisce la spiaggia per quasi tutti gli alberghi di lusso di Miami Beach. Massimo guadagna 4000 dollari al mese lordi e paga il 15 per cento di tasse. Quando il commercialista gli chiede i costi di auto, telefono, vestiario per portarli in detrazione, scopre di essere in credito. «Una settimana dopo aver presentato la denuncia dei redditi – racconta – mi è arrivato un assegno di 70 euro: il fisco mi rimborsava quanto non dovuto».

 

MASSIMO ha una eccellente assicurazione sanitaria che lo copre completamente e paga 450 dollari al mese. Anche così, gli restano 3200 dollari da tenere in tasca. La sua compagnia ha coperto il business a Miami Beach e vuole allargarsi ad aree più esclusive della costa. Ha chiesto a Massimo la disponibilità a spostarsi di cento minuti di automobile e lui ha accettato perché gli piacciono le nuove avventure e perché il suo stipendio crescerà. L’inglese è ormai a posto («ma se scrivo una mail faccio ancora qualche piccolo errore») favorito dal matrimonio con una donna americana. Nessun desiderio di tornare in Italia. «È il paese più bello del mondo, ma...». Ecco, sta tutto in quel ‘ma’ . Con una aliquota fiscale del 15 per cento, a chi viene in mente di evadere? Anche perché qui il fisco, sollecito con i rimborsi, è inflessibile con le sanzioni. Finire in prigione è facile. Personalmente ritengo che una ‘flat tax’ al 15 per cento in Italia sia per il momento improponibile. E non trovo equo che non ci sia una certa progressività delle imposte. Ma se l’aliquota minima fosse del 20 per cento e quella massima del famoso 33 per cento promesso nel 2001 da Berlusconi e mai attuato – con sanzioni terribili per chi evade – il fisco incasserebbe di più, i consumi crescerebbero, la disoccupazione diminuirebbe e saremmo un paese felice, oltre che bello. Perché non provare?