Monte Sabbiuno, alpini nel calanco dell’eccidio

Installazione omaggio ai caduti, fulcilati dai nazisti nel 1944

Gli alpini nel calanco dell'eccidio di Sabbiuno (foto Schicchi)

Gli alpini nel calanco dell'eccidio di Sabbiuno (foto Schicchi)

Monte Sabbiuno (Bologna), 22 ottobre 2014 - Un lungo groviglio di filo spinato. Rosso. Una ferita sul fianco grigio di Monte Sabbiuno. Parte dal sacrario e si srotola fin giù, al fondo del calanco. Vuole ricordare i rivoli di sangue dei prigionieri fucilati dai nazisti e gettati di sotto, il 14 e il 23 dicembre del 1944, in quello che sarà ricordato come l’eccidio di Sabbiuno. Per il 70mo anniversario, il monumento – uno dei più significativi luoghi della memoria dell’antifascismo bolognese – si arricchisce di questa installazione simbolica, voluta dal Comitato per le onoranze ai caduti di Sabbiuno. Il compito di realizzarla è stato affidato a un gruppo di alpinisti soci del Cai di Bologna.

Le discese lungo il solco argilloso del calanco per preparare il terreno e srotolare il filo spinato sono cominciate ieri mattina. Equipaggiati con caschi, corde, moschettoni, rinvii, discensori, freni e bloccanti, Mario Romiti, Sandro Dal Pozzo, Rosinclerio Previati e Massimo Zappoli si sono calati più volte. «Dal punto di vista tecnico, l’operazione, in sé, non è difficile – spiega Romiti, presidente del Cai Bologna –. Ma, per evitare sorprese, tutto va fatto con molta attenzione e la dovuta prudenza». Per potere affrontare impegni di questo tipo, i quattro alpinisti hanno frequentato un «corso per lavorare in parete a livello professionale, non sportivo». Il monumento ai caduti è stato realizzato dal Gruppo Architetti Città Nuova (Letizia Gelli Mazzucato, Umberto Maccaferri e Gian Paolo Mazzucato) fra il 1972 e il 1973. Commemora cento partigiani uccisi dai nazifascisti fra il 14 e il 23 dicembre 1944.

Prelevati dal carcere di San Giovanni in Monte, a piedi o su camion coperti, i due gruppi di prigionieri vennero condotti attraverso le strade del centro di Bologna verso le colline fino a Sabbiuno. Rinchiusi nella casa colonica che oggi ospita un piccolo museo, vennero portati sul bordo del calanco e fucilati. Nel dopoguerra, i loro cadaveri vennero ritrovati in fondo al vicino calanco, dove erano stati gettati dopo l’esecuzione. Sabbiuno, scrive lo storico Alberto Preti, «è un suggestivo luogo della memoria, straordinariamente, violentemente legato alle stragi che vi si compirono, anche per la natura dei luoghi che si fa all’improvviso così aspra, così diversa dalle colline che li precedono. Luoghi di per sé scolpiti in un modo così tragico che sembrano essi stessi il monumento reale di quei morti». 

 

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro