Tomba: "Quando vincevo mi regalavano statuine del Nettuno con gli sci"

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Alberto Tomba (Foto Ansa)

Alberto Tomba (Foto Ansa)

Bologna, 26 marzo 2015 -  "Per le mie vittorie ho ricevuto tanti omaggi, regali, oggetti da collezionare. Ma quelli a cui sono più affezionato sono i Nettuni. Al plurale…".

Figuriamoci se Alberto Tomba non condivide la campagna per la riqualificazione del simbolo cittadino. A suo modo, AT è pure lui una icona della ‘bolognesità’. Le sue imprese hanno scandito un’epoca. E hanno lasciato una traccia nella memoria collettiva. Che non ha mai trovato un sostituto, almeno non con gli sci ai piedi. «Ho appena festeggiato il ventennale della conquista della Coppa del Mondo – racconta Albertone –. Allora eravamo a Bormio e sono contento di tornarci. Gli amici non lasciano passare una ricorrenza, stanno già programmando qualcosa per l’anno prossimo, 1996-2016, i titoli iridati vinti in Sierra Nevada. Ma posso spiegare la storia dei Nettuni?». Prego, siamo qui per questo. «Io il Nettuno dal vivo l’avevo visto da bambino, con la famiglia. Mi sembrava enorme! A casa mia ce ne sono tre. Sono modellini particolari. Mi sono stati consegnati in occasione delle vittorie più prestigiose. Una è del 1988, dopo gli ori olimpici di Calgary. Una è del 1992, per il bis ai Giochi di Albertville. E una è proprio del 1995, per la Coppa del Mondo». E cosa hanno di speciale? «Al posto del tridente ci sono gli sci! I miei attrezzi da slalom». Sul serio? «Davvero. Non so chi ebbe l’idea, ma era molto divertente e mi è piaciuta subito. Li ho custoditi con cura. Uno è in porcellana, molto bello. Del resto, a me sono sempre garbate le combinazioni un po’ pazze. Ho dato il meglio come sciatore, ho sempre adorato la montagna e la neve. Però venivo in un certo senso dal mare, io. Ho fatto un mix tra il tipo da spiaggia e l’uomo delle nevi, ecco». Un Nettuno con gli scarponi e la tuta da slalom. «Qualcosa del genere. Ma l’importante è avere le radici salde. Per questo tutti i bolognesi che ne hanno la possibilità debbono appoggiare l’iniziativa per il restauro. Quando andavo in giro per il mondo, i giornalisti stranieri mi chiedevano spesso di raccontare qualcosa della mia città. Di sicuro non ero originale, ma ovviamente mi venivano in mente le Due Torri, San Petronio, il Nettuno. Ci sono immagini che ci appartengono, che ci portiamo dentro ovunque…».

Leo Turrini

 

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