Non facciamo nuovi martiri

Bologna, 14 febbraio 2016 - Fra febbraio e marzo, quando le giornate cominciano ad allungarsi, nella penombra del crepuscolo s’intravedono striscianti lungo i muri ombre incappucciate avvolte in mantelli, che ne fanno sagome indistinte, con l’unica costante che a una alta se ne accompagna una bassa. Chi, incuriosito, le seguisse si renderebbe conto che le ombre tendono a convergere in uno stesso luogo. Nelle vicinanze dell’ex gabbia dei leoni nei giardini Margherita... dove scompaiono. Continuando nel pedinamento si scoprirebbe un’entrata segreta, che attraverso un cunicolo angusto porta in una cantina proprio sotto le scuole Fortuzzi. Sono studenti, genitori, insegnanti che si riuniscono per partecipare alla benedizione pasquale impartita da un coraggioso sacerdote. All’uscita saranno guardinghi così come all’entrata, perché, se è vero che la proprietà come la benedizione si estende dagli inferi alle stelle, anche la cantina è luogo pubblico e il Tar non sarebbe clemente. Roba da catacombe, primi cristiani, Russia ai tempi dell’Urss, (vedi il film ‘Il compagno don Camillo’). Potrebbe essere la descrizione del naturale prosieguo della sentenza del Tar dell’Emilia Romagna, che rubrica la benedizione pasquale come rito religioso attinente alla sfera squisitamente individuale.

Prima di dare materia per nuovi santi e martiri sarebbe forse il caso di riflettere sulla specificità della benedizione. In realtà la benedizione, come la croce sono da annoverare più che alla voce ‘religione’ alla voce ‘usi e consuetudini’ appartenenti per loro natura alla sfera sociale. E’ una voce molto importante non solo per il diritto occidentale, con riferimento a presupposti sia nel diritto romano sia anglosassone, ma anche per altri diritti fra cui, non ultimo, quello musulmano. L’uso e la consuetudine riguardano qualcosa che è entrato nel vivere comune, tanto da diventarne una parte naturale e pertanto non attiene più esclusivamente ad un contesto di norme specifiche. Spesso le loro origini si perdono nell’accavallarsi dei secoli. Che la benedizione faccia parte degli usi e consuetudini della nostra società, prescindendo da un contesto squisitamente ed esclusivamente religioso, è talmente evidente da diventare banale, come la frase che tutti noi abbiamo sentito e probabilmente pronunciato «Ma vatti a far benedire..!» oppure «L’ho mandato a farsi benedire» o «Qui ci vuole una benedizione». Forse il prossimo ricorso al Tar sarà per avere invitato a riti religiosi un interlocutore importuno o sfortunato. Altrettanto si dica per la croce, non c’è bisogno neanche di scomodare le radici storiche della nostra europeità per confermare quanto questo segno ci sia connaturato, basti pensare come firmano gli analfabeti: non con un cerchio, un triangolo o una mezzaluna, ma con una croce, uso non in estinzione, se si pensa all’ incombente analfabetismo di ritorno. Ci sono molti altri comportamenti riconducibili a matrici religiose e poi entrati negli usi e consuetudini e a volte nelle leggi, come non lavorare il sabato, far festa la domenica, non mangiar carne al venerdì.

Attenzione a quelle mense scolastiche che non offrono carne al venerdì, potrebbero ricadere sotto il maglio del Tar! La benedizione pasquale intesa come una consuetudine della nostra società può essere ben accolta anche dagli studenti laici o di altra religione, in fondo è sempre bello farsi augurare del bene , mentre per chi è credente avrà una valenza in più. Si parla di formare la coscienza critica degli allievi, credo che un modo sia quello di evitare di giocare a martiri e persecutori, in questa diade ci sta molto: dal razzismo al bullismo , cerchiamo di non implementare la serie con sangue e arena.

 

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