Martedì 16 Aprile 2024

Omicidio di San Donato, la banalità della vecchiaia

Bologna, 28 novembre 2014 - C'è un tratto di banalità, di apparente inspiegabilità, di oscuro nell’uxoricidio di via San Donato. Una coppia di anziani, sposati da quasi sessant’anni, rispetttati e rispettabili. Una quotidianità consolidata, lui in banca lei casalinga. Posso dire, senza offesa per nessuno, una delle tante vite normali, un po’ grigie e prevedibili, che ci rinchiudono nella loro routine? Credo che in quell’appartamento le cose siano andate a lungo così.

E credo che l’inquietudine profonda, lo smarrimento che il delitto trasmette dipenda prima di tutto dalla sua banalità, dal suo inserirsi dentro un’esistenza domestica come tante, come le nostre. Hanna Arendt, la pensatrice ebrea tedesca perseguitata dal nazismo, coniò la formula – ‘la banalità del male’ – mentre seguiva il processo contro Adolf Eichmann, il criminale organizzatore delle deportazioni nei lager, nel cui comportamento la Harendt vedeva una specie di irriflessività, di mancanza di contatto e di giudizio rispetto alle azioni che stava compiendo.

Non è il caso di evocare troppo esempi così storicamente catastrofici né, Dio ce ne guardi, di fare confronti. Ma ciò che è avvenuto in via San Donato non ha nulla a che fare con la gelosia del fidanzatino che uccide la ragazza poiché non sopporta la sua decisione di lasciarlo. E non pare neanche che vi siano, dietro lo scenario cruento, i segni di un particolare disagio economico e sociale. Qui, dopo tutto, la morte naturale non era tanto lontana per entrambi, per la depressione post ictus di lui e i molti gravi malanni di lei. Il finale di partita era già scritto, e nessun intervento esterno avrebbe potuto modificarlo. Il viale del tramonto, che se si imbocca mano nella mano può anche essere un percorso glorioso, era già spalancato per Luciano e la Bruna. Perché stracciare il copione quando sei ormai alle ultime pagine?

La banalità di questo delitto nella Città dei Vecchi è la sua stessa, inutile tragicità. Come se uno dei due sopravvissuti di un esercito che ha combattuto per più di mezzo secolo stabilisse che l’altro è di troppo. Perché non vuole più condividerne la sorte? Perché, come dice l’autore del delitto, lei voleva andarsene? O perché sempre lei non sopportava più quei giorni punteggiati dalle liti? E le rivoltelle che lui teneva in casa hanno favorito l’idea che così la soluzione finale era a portata di mano? La morte di Bruna Belletti ci riguarda, assieme allo sconvolgimento di Luciano Zironi. Niente di simile con l’eutanasia praticata dall’ottantenne protagonista del film ‘Amour’ di Michael Haneke (Oscar nel 2014), che sopprime per non veder più soffrire la moglie degradata dall’Alzheimer.

C’è un duro vuoto di colloquio reciproco dietro il delitto, c’è, come capita spesso anche nelle nostre case, un dialogo che si spegne, che si irrigidisce, che si trasforma da contatto umano a ossessione, la sofferenza, le malattie, la perdita del sorriso, la sopportazione, è colpa tua no tua. Eliminare l’altro (l’altra) è allora come cancellare il segno visibile, insopportabile, insostenibile di un mal di vivere senza più uscita, ampliato dalle parole e dai litigi come il vento solleva le foglie e le trasforma in un mulinello accecante e incontrollabile. La notte interiore non scende mai prima di un buio progressivo. E di notte è assai più facile far del male agli altri e a sé. Non più facile, anzi. Più banale.